30 agosto 2011

Breve reportage tra il 28 e il 29 Agosto 2011.

Domenica 28 Agosto ore 03.00. Tornano a squarciare il cielo le fiamme del Petrolchimico, innalzando una densa colonna di fumo nero . 
-E’ stata l’interruzione della fornitura di energia elettrica su entrambe le linee ad alta tensione di Terna a scaricare l’intera massa di richiesta di energia sulle centrali Edipower ed Enipower di Brindisi, facendo saltare il dispositivo di protezione che evidentemente non è calibrato sull’eventualità del black-out totale. Sarebbe questa la prima spiegazione ricevuta stamani dai sindacati dei lavoratori chimici ed elettrici da Enipower (centrale turbogas da 1.170 megawatt ), per il blocco totale degli impianti del petrolchimico consortile di Brindisi e delle stesse già citate centrali termoelettriche, avvenuto alle 3 del mattino di domenica, e durato sino alle 11, quando Terna ha ripristinato la normalità.-
Questo scrive la testata on-line Brindisireport  alle 14:19 di Lunedì 29. In realtà ci sono segnalazioni della torcia accesa visibile da Mesagne molto prima delle 3:00, ma soprattutto la "normalità" non è stata ripristinata affatto visto che mentre scrivo questo post (Lunedì ore 23:00) la torcia sputa ancora fuoco e veleni.

Domenica 28 Agosto ore 11:00.  I bagnanti lungo il litorale brindisino iniziano ad allarmarsi alla vista della densa nuvola di fumo nero che dalla zona industriale ormai incombe sulle loro teste. Antonio Q. , un surfista, fa delle riprese col videofonino e le invia alla mail del blog. 
Alle ore 15,30 alcuni cittadini brindisini (Francesco L., Claudia P., Massimiliano C., Fabrizio D. e Davide D.), allarmati dall’odore acre che si espande nella città si recano prima alla caserma dei Vigili del Fuoco, i quali dicono di non preoccuparsi in quanto trattasi di "operazioni di manutenzione", e poi alla Caserma dei Carabinieri di Brindisi ma riescono solo ad avere poche informazioni.
Alle 16,30 di ritorno da Località Torre Cavallo, i  cinque cittadini brindisini si recano in Questura  per segnalare il forte odore nauseabondo registrato nella zona.

Le torce continuano a bruciare, seppure ad intervalli, da più di tredici ore e nessuna autorità locale è stata allertata. I centralinisti  Eni imbarazzati non rispondono e quando lo fanno non danno alcuna spiegazione. Top-secret sull'accaduto per circa dieci lunghe ore.
Arriva una telefonata: un gruppo di surfisti in Località Lindinuso ci segnala  la presenza nell’aria di un forte odore nauseabondo: -una puzza come se fosse benzina- ci dicono.

Inviamo come Movimento No al carbone un comunicato stampa al quale segue una lettera  indirizzata ad Arpa Puglia e per conoscenza anche alla Procura della Repubblica.

Lunedì 29 Agosto. Ci mettiamo al lavoro per produrre un dossier da consegnare alla Digos, fatto di testimonianze e materiale foto/video ricevuti via mail.
Il dipartimento Arpa di Brindisi, malgrado le fiammate siano durate dalla notte fino al tardo pomeriggio di Domenica, non avrebbe effettuato alcuna misurazione delle ricadute inquinanti con apparecchiature mobili. I dati on-line delle centraline fisse a terra invece  registrano per la giornata del 28/8  una qualità dell'aria ottima!

Mentre noi cittadini non sappiamo ancora se siamo o meno a rischio intossicazione, arriva puntuale il  vergognoso comunicato stampa del sindacato Cisal, pronto a prendere le difese di un'azienda (la Polimeri) che non ha avuto neanche il decoro di fare un comunicato per dirci cosa è successo e cosa si sta bruciando.

E intanto sono le 23.57 , quasi Martedì,  e arriva un'altra mail: la torcia sputa ancora fuoco e veleni. 
Questo il video allegato.


29 agosto 2011

Brindisi: ecco come l’ENI seppellisce i suoi vel-ENI.

Dopo le prime puntate  a tema dedicate  all’Enichem  di  Venezia-Porto Marghera, all’Acna  Chimica  Organica di  Cengio, al  petrolchimico ENI di  Priolo  Gargallo, era  impossibile  non fare  una  capatina  anche  Brindisi e  non soffermarsi  un  attimo a  riflettere  sulle  devastazioni  ambientali  operate  dall’ENI  in una bella  regione  come  la Puglia, territorio a spiccata  vocazione  turistica, dove pare abbia avuto  luogo uno degli scempi  ambientali  più  gravi  della  nostra storia.        

A  Brindisi  ritroviamo  una vecchia  conoscenza, un  manager  storico  dell’ENI, il Dott.  Andrea Mattiussi già  amm.  Delegato  della  Montedipe - società confluita da Enimont all’Enichem del Gruppo ENI - pluriindagato per  vari reati  quali  strage colposa, disastro ambientale, lesioni  gravi e condannato anche per  l’inquinamento  ed avvelenamento a  Mantova del  fiume  Mincio
Una  parentesi: data la  rilevanza delle  tematiche,  dedicheremo quanto prima  anche  un  articolo  a  Mantova  (essendo  dotati di  grande  fantasia  possiamo  già  anticiparvi  il  titolo: “MANTOVA: Ecco  come l’ENI  seppellisce  i   suoi  vel-ENI”).  Mattiussi dopo  turbolenti trascorsi  giudiziari,  passerà  poi  alla  Snia.
In una  Nota  riservata  di  Enichem Anic-Montepolimeri  indirizzata proprio  al  ns. benemerito Dr. Mattiussi,  in  riferimento  al  sito  industriale  di  Brindisi,  s’esplica quanto  segue:
“… la  problematica  dei  residui   mercuriosi sempre  presente  in  Fabbrica andò acuendosi in  modo  rilevante  negli  anni 1976-77 per  la  produzione  di  grossi  volumi di  fanghi  nell’impianto di  trattamento  acque  mercuriose… dopo  la  fermata  del  cloro soda i  vari  residui  mercuriosi (fanghi, terre, materiali  vari inquinati)  presenti  in  Stabilimento rimasero  staccati in  attesa  di soluzioni  sempre  ventilate e  mai  concretizzate che  si  rivelavano  sempre ipotetiche ed  aleatorie. Si  andava  invece  nel  frattempo   aggravando la  situazione dello  stoccaggio,  creando  reali  pericoli  di  inquinamento,  sia  per  il progressivo  deterioramento dei  contenitori  dei  residui solidi sia per  il  rischio  di  trabocco dei  fanghi siti  sotto il  P.28 nel  collettore  di  scarico  a  mare, a  seguito  di  aumento del  livello  per forti  pioggie. Detto  rischio in  qualche  occasione si  è  concretizzato… Relativamente  ai  rifiuti  mercuriosi il  cesimento  indica: n. 740  fusti di  fanghi  inspessiti, 320  fusti di  terra  e  residui vari  inquinati, 100  fusti  di  grafite, 400  mc.  circa  di fanghi  residui parzialmente  inspessiti. Il  tutto  è  stato  coperto  con  scarto  di  cava per  uno  spessore  di  circa  30  cm. Pressato  e livellato… su  di  esso  è  stato  effettuato  uno  stendimento  di sabbia  di  frantoio  rullato con  ottenimento  di  un  piano di  calpestio camminabile… Non  si  è  ritenuto  opportuno né  necessario  denunciare ad  autorità  la  realizzazione dell’opera sia  in  relazione alla  situazione  locale  sia in  considerazione che  non  è  stato  fatto  uno  scarico  sul  terreno che  rientrava  quindi nei  disposti  della legge …”.
Come  potete  ben  riscontrare anche  a  Brindisi (come del resto in  tutti  gli  altri siti  dell’ENI)   la  produzione  di  vel-ENI micidiali è arrivata   a  toccare  livelli da  incubo.  Tanto che  a Brindisi cominciò  a porsi  il  problema  di  come  eliminare  questa imponente  mole di  rifiuti  tossico-nocivi. Anche  nel  caso  specifico venne  in  provvidenziale aiuto la  proverbiale  ed italica  fantasia. Rispetto  al  modello  adottato in  altri  siti  però (interramento  diretto  dei  rifiuti da  parte degli  uomini  ENI) nel contesto  brindisino  si  pensò  bene  d’adottare  una  variante inedita. 
Per  una  “bonavota” l’Eni decise di  non  sporcarsi  direttamente le  mani.  Meglio far  fare  ad  altri il  “lavoro sporco”.  Entrò  così  in  scena un  eclettico personaggio,  dotato  di bacchetta  magica, che rivelò  all’ENI  come  far  sparire  1 milione  di  metri  cubi  di  fanghi  mercuriali.  Il  nostro machiavellico   Geom. Giuseppe Bonavota da  Briatico,  classe 1927  (questo  il  nome  dell’eclettico mago  Zurlì  dei rifiuti) con le  sue  magie riuscì persino di surclassare l’Eni.  
Far  “sparire”  i  vel-ENI anziché   “seppellire” i  vel-ENI è  certamente un’idea  innovativa.  Chapeau. Avviene così che  il Bonavota, unitamente alla  società  Micorosa  Srl  (di  Brindisi)  e la società   Montedipe  Spa  siglano  una  “Scrittura Privata”  (che  trovate qui  di seguito  allegata  e  riprodotta pdf)  che  ha  per oggetto: “ … la  reindustrializzazione dell’area  di Brindisi”,  nonché  la  nobilissima  finalità del   “…   reimpiego del  personale  attualmente  in  CIGS di Montedipe  … sul  presupposto  che  venga  installata in  un’area  confinante  con  lo  stabilimento  petrolchimico un’azienda  industriale avente  come  attività il  recupero  e  la  lavorazione di  sottoprodotti  fangosi con  esclusivo  reimpiego  di  personale di  Montedipe … Montedipe  riconoscerà  a Micorosa per  ciascun  dipendente  MONTEDIPE in  CIGS  assunto  da  Micorosa …  un  contributo  di 15  milioni …”.
Il progetto Micorosa-Bonavota - che  trovate anche  questo quì  di seguito  allegato  e  riprodotto -   riscosse  immediatamente l’entusiastico  consenso  dei vertici  dell’ENI  (e  lo  credo  bene … far  sparire 1  milione di  mc di  vel-ENI come  per  incanto) tanto  che il prode Mattiussi si  studiò a  memoria ogni  singoli  passo  del  memorandum e  s’incorniciò nell’ufficio la  copertina  del  dossier che  titolava: “Progetto  di  fattibilità per  l’installazione in  un’area  confinante con lo  stabilimento  petrolchimico di  Brindisi  di  una azienda  industriale avente  come  attività il  recupero e la  lavorazione di  sottoprodotti fangosi”.
Non potete neanche  lontanamente immaginare  i  ritorni  che  potrebbero  esserci in  termini industriali se  progetto   funzionerà  bene e  senza intoppi. Se  il  Bonavota  non è  un  pazzo  furioso  visionario  ed  il  suo procedimento  alchemico è ok  potrebbe  essere  sfruttato  su  larga  scala  per  smaterializzare d’incanto  tutti  i  rifiuti  killer  dell’ENI  sparsi  in tutti  gli  stabilimenti d’Italia  e del  mondo.        
         
Così  sul  finire  degli  anni ’80 si  moltiplicano freneticamente i  contatti tra  l’archimede  pitagorico brindisino, Mattiussi ed i  vertici dell’Ente  Energetico Idrocarburi per  mettere  a punto le  varie  fasi dell’affaire.  Finchè un  giorno Dario  Amodio  di  Enichem Anic invia una Nota  riservata  a  Mattiussi  che  riassume  i  termini  del  business: “Nota  riservata  per  il  dott.  Mattiussi -  iniziativa Bonavota per il  riutilizzo  di  fanghi  da  carburo”. Scrive il  relatore di Enichem Anic:
“…  a  sud  dello  stabilimento  petrolchimico,  fuori  della  recinzione, esiste  un’area  di  circa 44  ettari  denominata “Zona  Fanghi” adibita  a  suo  tempo  a  ricevere i  residui  provenienti dalla  produzione  di  acetilene da  carburo. La  massa  dei  fanghi  depositata  nel  tempo può  essere  valutata  ad un  milione  di  mc…  disponendo  di  una  così  rilevante  massa  di  fanghi  ci  siamo  attivato  da  tempo  per  studiarne  l’utilizzo e  conseguire  contestualmente  la  bonifica  della  zona  eliminando  fonti  di  rischio per  le  persone  che  incautamente vi  si  fossero  inoltrate  e  restituendo  al  verde  l’intera  area.  Proficui  son  stati  i  contatti avviati  con  un  imprenditore locale, che  ha  trovato  la  soluzione  del  problema. Attraverso  opportuni  processi tecnologici (che  di  seguito  sono  indicati) ha  trovato  il  modo di trasformare  i  fanghi ricavandone  prodotti da  utilizzare nell’edilizia  civile … l’imprenditore  di  cui si parla è  il  Geom. Giuseppe  Bonavota socio  e  dirigente  di  alcune  società (Edil Cover, Moviter Sud, Corat  Service) che  operano  a Taranto nel  campo  dell’edilizia e  dell’estrazione e lavorazione  calcarei … Essendo  la  massa  stimata  dei  fanghi clorurati  di  1  milione  di  metri cubi si  prevede  di  dover  trattare in  totale  10  milioni  di  quintali … lavorando 2000  quintali al  giorno,  considerando  ogni  anno 300  giornate   lavorative,  si  prevede che  l’attività  avrà una  durata  di  30 anni”.
Inutile  dirlo l’idea è   semplicemente  geniale. S’elimina  una  fonte  di  rischio  per  l’uomo  e l’ambiente togliendo i  rifiuti  tossico  nocivi  dallo  stabilimento dell’ENI  di  brindisi e si spostano i vel-ENI trasformandoli   in tegole,  in mattoni,  piastrelle, malta  da  costruzione  etc  etc.  Era l’aprile del 1987. Segnatevi  bene sul  calendario sta  data nella  quale è  stata  concepita sta  genialata d’idea. Come si  legge  nel  memorandum sta tipologia  di  “smaltimento”  avrebbe richiesto  perlomeno 30  anni per  far  fuori  tutti  i  veleni  dell’ENI. Se  non  fosse  stato  per  lui (sempre  il geniale e magico  Geom. Bonavota)  a  quest’ora   sarebbero stati  ancora  lì  a trasformare   fanghi  clorurati   imbottiti di mercurio in  malte  bastarde (bastarde proprio e  anche  stronze). Zurlì diede  invece un  aiutino decisivo  pronunciando  le  fatidiche  frasi  “sim-sala-bim” e/o “Magicabula”. E come  per  incanto i  vel’ENI  svanirono. Ancor  tutt’oggi  non si  sa  bene  dove  siano  finiti. E’ un  ENI-gma.  Si  sa  solo  che imponenti  concentrazioni  di  inquinanti e  vel’ENI   son  stati  riscontrati    nell’area che  doveva  servire  per realizzare  il   progetto del  mago  Bonavota. 
Oggi  quell’area  brindisina si  chiama  “discarica  Micorosa”.  Sin’oltre i  5  mt  di  profondità son  stati trovati sepolti nelle viscere della terra, tonnellate e tonnellate  di  vel-ENI fra cui dicloroetilene, il famigerato cloruro di vinile, benzene, arsenico, e altri contaminanti per volumi complessivi che superano di 4 milioni di  volte  i limiti consentiti dalla legge.
Una  bomba  nucleare  ecologica  mai disinnescata proprio alle  spalle  dell’Oasi Naturale delle  Saline (e  lì sti vel-ENI   ci  sono  ancora tutti). Non  è  un caso che  a Brindisi  dalla fine  degli  anni  ’80  in  poi  siano registrate stranissime  morti  probabilmente  riconducibili  agli  agenti chimici killer, in  primis  il cloruro  di  vinile (ma  in  questo cazzo di   paese  una  volta  l’azione  penale  non  era  obbligatoria?).
Alcuni  dicono  che  erano  altri  tempi. Erano  tempi  in  cui tutti  facevano  i  cazzi  che  volevano. A  Brindisi  inquinava  anche  la  Guardia  di  Finanza. Si  legge  in una  nota di  Enichem  Anic (v.  doc.  allegato) che  lo stabilimento Montedipe  di Brindisi  “non è  mai  stato  dotato di  un  impianto di trattamento centralizzato delle  acque di  processo  di  scarico dei  vari  impianti  produttivi, e  nemmeno  di  impianti di trattamenti  specifici, e quindi  tali  acque di  processo confluivano direttamente  nei  collettori di  raccolta  delle  acque di  raffreddamento che  scaricavano a mare…  attualmente  son  stoccati  in  stabilimento 82.000  metri cubi di  soluzione  acquosa di  Sali  sodici (provenienti  dallo  stabilimento  Enichem  Agricoltura  di M.  Sant’Angelo) che  occorre  smaltire  sia per  liberare  i  serbatoi che  su  sollecitazione  dell’Amministrazione Provinciale  di  Brindisi… con l’acquisizione  della  proprietà  Montedipe è  stato riscontrato che  gli  scarichi  civili della  Caserma della  G. d F. e  degli  alloggi  sociali confluiscono  a mare,  a cielo  aperto attraverso una  spiaggia. Pertanto  è  opportuno  convogliare tale  scarico al  trattamento  biologico…  tale  scarico è  causa  di  esalazioni  maleodoranti  in particolare  durante  il  periodo  estivo quando  si  registra  una  notevole presenza  di persone  sulla  spiaggia.  Per  tali  motivi  e onde  evitare coinvolgimenti e strumentalizzazioni  esterne  è  opportuno convogliare  tale  scarico all’impianto  biologico  dello  stabilimento…”.
Beh se  capitate  nei  pressi  di  Brindisi  e  avete proprio voglia  di  farvi  na  nuotatina  da  ste parti,   occhio  a  non  farvi  un   pieno di  colifecali  delle  fiamme  gialle.  Se    invece  siete indigeni  del  luogo ed  avvertite  strane  patologie,  ringraziate  l’ENI. E  tra  poco  potrete  dire  grazie anche all’On.le Stefania Prestigiacomo (ns. illustre  ministro  dell’Ambiente) che è   rimasta  così profondamente  toccata  dall’emozionante  storia ambientale   dell’ENI che  ha  deciso  di  condonare  all’ENI, con  apposito  decreto,   tutti i  più gravi  disastri  ambientali della  storia. Brindisi  incluso. Una  cosa  così  vergognosa  che  più  vergognosa  di  così non  si  può.
Allora senza  offesa. Possiamo proporre un “Brindisi” per il nostro ministro dell’ambiente?  
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Doc. pdf.: “Brindisi_Vel_ENI_interrati1
Doc. pdf.: “Brindisi_Vel_ENI_interrati2
Doc. pdf.: “Brindisi_Vel_ENI_interrati3
Doc. pdf.: “Brindisi_Vel_ENI_interrati4
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Dai portali  Indymedia

27 agosto 2011

Vado Ligure, la centrale inquina e raddoppia

A Savona il progetto per l'impianto a carbone con la benedizione di Pd e Pdl. Accordo fra governo e Regione Liguria. Ma anche De Benedetti ci guadagna.

Paura di respirare. Di infilare dentro di te un nemico invisibile. A Vado, Quiliano, Savona, in tanti vivono così.

Strana storia quella della centrale a carbone di Vado Ligure. Delle sue sorelle, come quella di Porto Tolle, si parla perché, incredibilmente, erano sorte vicino a un parco naturale. Di questa, cresciuta in mezzo a una città, quasi nessuno sa nulla: da quarant’anni brucia fino a 5000 tonnellate di carbone al giorno. E pensare che, secondo gli esperti, gli effetti arrivano a 48 chilometri: fino a Genova, fino a località turistiche come Varigotti e Loano. A luglio il governo e la Regione Liguria hanno approvato il progetto di ampliamento.

Ma a protestare contro il nuovo impianto da 460 Megawatt (che si aggiungerà inizialmente ai due esistenti da 330 Megawatt l’uno) c’è solo chi vive all’ombra delle due ciminiere. È letteralmente così: case, scuole, ricoveri per anziani dal 1970 sono a pochi passi dai camini di 200 metri. Ma adesso la gente ha deciso di dire basta, sventolando gli studi sugli effetti delle centrali a carbone. A diffonderli non sono fanatici, ma gli esperti dell’Ordine dei Medici. I dati annuali sulla mortalità maschile per tumore ai polmoni su 100.000 abitanti parlano di 54 decessi in Italia, 97 a Savona e 112 a Vado.

Statistiche, ma se vai in via Pertinace qualcuno dà nomi e volti ai numeri. A ogni finestra corrisponde una storia. Suggestione? A Vado da decenni si sono concentrate industrie inquinanti che hanno dato lavoro, ma bruciato perfino la vegetazione delle colline. L’Ordine dei Medici aggiunge: “La stragrande maggioranza delle emissioni inquinanti nel comprensorio Vado-Quiliano-Savona provengono dalla centrale elettrica (circa il 78,5 per cento per il PM 2,5 solo per i gruppi a carbone)”.

D’accordo, non esistono studi che dimostrino il rapporto tra le morti per tumore, ictus, infarti e la centrale. Ci voleva la procura, guidata da Francantonio Granero, che ha incaricato esperti come Paolo Crosignani, Paolo Franceschi e Valerio Gennaro e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo (a carico di ignoti).

“Intanto l’ampliamento è già stato approvato”, allarga le braccia Stefano Milano che dalla sua libreria nel cuore di Savona ha raccolto firme contro il colosso della Tirreno Power. “Intorno alla centrale ruotano interessi economici e politici”, aggiunge mostrando le lettere di protesta di cittadini, associazioni e quasi tutti i partiti. Con due assenze: Pd e Pdl.

Già, Vado e la sua centrale, come Taranto con l’Ilva, strette nella tenaglia “salute contro occupazione”. Mario Molinari, giornalista d’inchiesta, respinge l’alternativa secca: “Utilizzando studi americani su una centrale simile e parametri dell’Unione Europea, i medici dell’associazione Moda hanno quantificato i danni a salute e coltivazioni di una centrale a carbone in 36,5 milioni all’anno (142 milioni i costi complessivi). Un danno molto maggiore del beneficio dato dall’impianto (dove lavorano 250 persone, ndr)”.

Così ecco il paradosso: tutti i 18 comuni interessati hanno votato contro l’ampliamento. Durante l’ultima campagna elettorale per le regionali, i candidati si sono espressi contro il carbone. E poi? Il progetto è stato approvato. Una decisione che ha sollevato le critiche della Curia sulle pagine del Letimbro, il giornale diocesano di Savona: la decisione “contraddice con forza le posizioni di alcuni partiti che sostengono la giunta Burlando i quali, in campagna elettorale, avevano ribadito il “no”.

Ma che cosa prevede l’accordo? Renzo Guccinelli, assessore alle Attività produttive della Regione, spiega: “Sarà realizzato un nuovo gruppo a carbone da 460 megawatt. Ci vorranno sei anni. Allora si abbatterà uno dei due gruppi vecchi e, dopo altri tre anni, si abbatterà il terzo. A quel punto valuteremo l’opportunità di dare parere favorevole alla costruzione di un ulteriore gruppo per il quale non è previsto alcun automatismo”.



Insomma, impianti nuovi al posto di quelli con quarant’anni di vita. Ma un aumento di potenza della centrale. Nel frattempo, l’accordo prevede una serie di prescrizioni, tra cui l’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale).

Una vittoria per l’ambiente, secondo la Regione: “Tirreno Power non era disposta a realizzare un impianto interamente a metano come chiedono i cittadini”, racconta Renata Briano, assessore all’Ambiente. Perché non sostituire semplicemente i due vecchi impianti senza ampliamenti? “L’azienda non era disposta. Al massimo avrebbe adeguato gli impianti, ma si sarebbe inquinato di più che con il nuovo progetto”.

I cittadini, però, parlano di “resa” per ambiente e salute. Come Gianfranco Gervino di Uniti per la Salute: “I gruppi non potevano restare come sono, ma per legge e senza condizioni dovevano essere adeguati alle migliori tecnologie. Invece continuano a funzionare. In pratica si è contrattato l’ampliamento con il rispetto delle norme. È incredibile”.

La Regione non è la sola favorevole all’accordo. Tirreno Power difende il progetto: “Gli studi per ottenere la Valutazione di Impatto Ambientale sono in corso, ma dovranno tenere conto dei miglioramenti che ridurranno le emissioni del 40 per cento”. Non era meglio valutare prima di ingrandire? “Diventerà una delle centrali più pulite d’Europa”. Ma i dati dell’Ordine dei Medici? “Ognuno può diffondere i dati che crede. L’accordo prevede un Osservatorio che monitorerà l’impatto della centrale”.

Anche altre figure di spicco sono per l’ampliamento. Fabio Atzori, presidente dell’Unione Industriali, ha commentato: “Per Savona è come aver vinto al Superenalotto”. Una frase che ha sollevato polemiche: “Atzori – ricorda Molinari – è amministratore delegato della Demont che lavora con Tirreno Power”. C’è chi ricorda che il vicepresidente degli industriali savonesi, è Giovanni Gosio, manager Tirreno Power.

La questione scuote equilibri immutabili del potere locale. Che dire, per esempio, di Luciano Pasquale definito da Claudio Scajola “manager di grande caratura”? Pasquale, anche lui sponsor dell’operazione Tirreno Power, è un recordman delle poltrone savonesi: già presidente dell’Unione Industriali è oggi numero uno della Camera di Commercio e presidente della Carisa, la banca cittadina. Senza contare cariche varie, soprattutto nelle società autostradali (legate al gruppo Gavio).

Tirreno Power vanta un appoggio trasversale. I comitati hanno inviato una lettera a Carlo De Benedetti, imprenditore tessera numero uno del Pd e proprietario attraverso Sorgenia del 39 per cento delle quote di Tirreno Power. “È una lotta impari – racconta Molinari – Tirreno Power ha mezzi inesauribili: compra pubblicità sui quotidiani, tappezza la città di manifesti e sponsorizza iniziative del Comune”.

A Vado Ligure, però, delle questioni di potere interessa poco. Nel torrente Quiliano, l’Arpal nel 2009 ha rilevato la presenza di metalli pesanti e di idrocarburi policiclici aromatici cento volte superiore alla legge. I medici parlano di “molto probabile derivazione dalla centrale a carbone”.

Per i responsi definitivi bisogna attendere l’indagine epidemiologica. Intanto si può andare alla farmacia Mezzadra o a quelle di Quiliano. “C’è una diffusione notevole di malattie respiratorie”, dicono i farmacisti. I clienti presentano la ricetta. Molti non hanno bisogno di parlare. Il codice 048 sulla prescrizione vuole dire una cosa sola: tumore.

Da Il Fatto Quotidiano del 11 agosto 2011
(video di Lorenzo Galeazzi) 

26 agosto 2011

La politica colpevole

di Marzia Marzoli.

Civitavecchia. Il carbone di Tvn inquina, ma stamattina anche di più perchè è scoppiato un trasformatore dell'impianto ed è andato a fuoco. Il fumo dell'olio bruciato è diventato un fungo venefico terrificante, ancora piu pericoloso qiando è arrivato sulle nostre teste, spostato dal un vento in quota che in ora l'ha portato a Tarquinia.
Grazie Enel.
Che impotenza davanti ad un pericolo del genere, mio figlio era angosciato che non credeva fosse vero.
Fumo di una sostanza che neanche sappiamo ci cade in testa e noi, pietrificati aspettiamo che passi.
Mamma fa male questo fumo?
Si amore, di mamma ed è per questo che non mollo da anni.
Signor Sindaco, questo è il prezzo dei soldi accettati da Enel?
Che prezzo possiamo ancora pagare per l'errore politico che avete commesso a dire si ai soldi di Enel.
La frase che facevate girare tra la gente era...di non voler fare la fine del Cerasaro!
Tutti coloro che hanno detto si al carbone, consiglieri di maggioranza e assessori con il Capitano Mazzola, devono portarsi dietro il peso di tanta responsabilità, e anche tutta la mia personale condanna morale e politica.
Tutti i soldi elargiti per gli eventi, per le mucche chevrolet, per i marciapiedi, ma che sono se poi paghi tutto questo.
Avete da vergognarvi ancora per molto!



3 agosto 2011

I VELENI DELLA FEDERICO II TRA GLI AGRUMETI CALABRESI.

Si sono concluse nei giorni scorsi le indagini della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, riguardanti l'operazione "Poison". Sei lunghi anni di rapporti commerciali tra Enel e l'azienda calabrese Fornace Tranquilla, indagata per aver interrato illecitamente fanghi ad alto potenziale inquinante e cancerogeno provenienti dalla centrale brindisina.
Un rapporto, finalizzato allo smaltimento illecito, immutato e ininterrotto a partire dall'anno 2000 fino al 2008. Per il periodo 2000-2006 è avvenuto l'occultamento di 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi nel sito dell'azienda Fornace Tranquilla. A seguire, negli anni 2006-2008, l'occultamento di 100 mila tonnellate di rifiuti pericolosi nella cava della ditta Caserta in località Giammassaro di Lazzaro, agro del comune di Motta San Giovanni. In entrambi i casi veniva rappresentato falsamente il recupero dei fanghi incriminati in una fabbrica di laterizi.
Oltre 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi spacciati per innoqui. Le analisi chimiche sui veleni sepolti portano alla luce pericolosi inquinanti  fra cui una miscela esplosiva di stagno, vanadio, nichel, solfati, fluoruri e selenio provenienti per la quasi totalità dalla centrale termoelettrica Federico II, e sversati nelle viscere della terra di Calabria, in prossimità di pescheti e aranceti.
Oltre 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi che se fossero stati smaltiti in discariche autorizzate avrebbero comportato per Enel un costo di oltre 22 milioni di euro.
Ai 18 indagati (manager e responsabili Enel e titolari di aziende) vengono contestati, a vario titolo e in concorso, i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico e all’illecito smaltimento di rifiuti pericolosi, disastro ambientale con conseguente pericolo per l’incolumità pubblica, avvelenamento di acque e di sostanze alimentari, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, e gestione non autorizzata dei rifiuti.
Adesso gli indagati aspettano la parola del pm Mario Spagnulo titolare dell'inchiesta.

(fonte: Nuovo Quotidiano di Puglia - www.calabrianotizie.it)