31 luglio 2012

Nuvole rapide.

di Antonio Musella  globalproject.info

Immaginare il paesaggio della propria terra, del luogo dove dovresti essere felice, dove svolgi il tuo lavoro, è un elemento iconografico importante che determina il livello della felicità nell’essere umano. 
Lo skyline della città di Taranto è composto da un lato da due mari : il mare grande ed il mare piccolo, con il ponte girevole che separa le due parti della città dei due mari. Dall’altro lato, verso l’interno, ci sono una ventina di ciminiere e quelle nuvole che costituiscono la cappa di veleni che soggioga la città.
E’ veleno per chi lo sa. E’ sviluppo per chi non vuol vedere. 

All’Icmesa di Seveso ufficialmente producevano fertilizzanti. Nessuno in quel paese della Brianza poteva mai immaginare il volto brutto e cattivo della fabbrica. Era sviluppo, era benessere, non poteva esserci, in quel sogno tecnologico e moderno, un lato oscuro che avesse a che fare con il veleno. 
Non l’avevano mai immaginato fino al 10 luglio del 1976, quando il reattore dell’Icmesa fece il botto, vomitando diossina su 108 ettari di territorio. Nessuno oggi sembra voler ricordare quella che è stata la prima Chernobyl italiana. In quella fabbrica dove lavoravano decine di operai sbuffarono via 300 grammi di diossina pura capace di distruggere per sempre quel piccolo centro lombardo. Seveso fu evacuata. Le case distrutte, i campi arati per 40 cm. Tutto fu seppellito in una discarica fatta da quattro vasche una sopra l’altra. I veleni del reattore racchiusi in 41 fusti. L’Italia scopriva che il capitalismo produce scorie. 
Forse è quella la data in cui nel conflitto tra capitale e lavoro fa irruzione l’elemento dell’ambiente/salute. Da quel momento, governi ed imprenditori sono stati ben attenti a manipolare l’informazione, ad omettere il più possibile il lato oscuro della modernità, quelle scorie di produzione che distruggevano le vite di chi lavorava in fabbrica ed i territori dove sorgevano.

 Quello che sta avvenendo a Taranto in merito alla vicenda dell’Ilva è senza dubbio un fatto complesso. Lo è innanzitutto perché Taranto non è la Brianza. Una città che secondo i piani di espansione demografica legata allo sviluppo che la fabbrica dei Riva avrebbe dovuto portare, sarebbe dovuta diventare, nelle stime di venti anni fa, un centro di oltre trecentomila abitanti. Invece Taranto è ventimila abitanti in meno rispetto al dato demografico in cui furono fatte quelle stime. Un territorio dove il fenomeno dell’emigrazione, come elemento caratterizzante di subalternità del mezzogiorno al Nord del paese, continua ad essere un dramma del presente e non un ricordo. Taranto non è la Brianza dove invece le fabbriche, dopo Seveso, hanno continuato a prosperare trovando posti comodi e sicuri dove smaltire quelle scorie cattive e portarle lontane dagli occhi e dalle preoccupazioni dei cittadini. Proprio nel Mezzogiorno italiano o magari nei paesi africani. Proprio come le scorie e ceneri di alluminio delle Fonderie Riva di Parabbiago, in provincia di Milano, finiti nella discarica di Pianura a Napoli tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Taranto resta una città dove il solo lavoro possibile è quello all’Ilva. Un territorio dove i termini del conflitto tra capitale/lavoro/salute si invertono fino ad arrivare all’assurdo di una saldatura di interessi tra padrone ed operai.
Magagne della sussunzione reale del lavoro al capitale.
Un lavoro che significa morire presto. Prima degli altri. Le nuvole rosa provenienti dalle ciminiere dell’impianto siderurgico, dai nastri trasportatori scoperti, dal deposito dei minerali che sembra quasi uno spiazzale dove è accumulato terriccio ed invece sono metalli pesanti, minerali, scoperti lasciati allo sbuffo del vento di Levante, arrivano sulla città costantemente. Non ci sono fusti di colore sgargiante che escono dalle fabbriche su dei camion. Tutto è nell’aria e ciò che si vede poco, si sa, preoccupa sempre meno. Qui non c’è stata una Seveso, nonostante i continui incidenti che hanno caratterizzato la vita della fabbrica, nonostante le immense nuvole cariche di metalli pesanti che si sono rovesciate sulla città ad ogni errore nella produzione, ad ogni guasto all’impianto. Non c’è stato uno shock che abbia prodotto una presa di coscienza collettiva su come quella fabbrica stia uccidendo la città ed i suoi cittadini. Li uccide lentamente. Senza botti. Non c’è un reattore che esplode e centinaia e dei corpi che cadono in terra. Anche se a Taranto tutti lo sanno che la fabbrica fa male. Fa morire presto. Lo sanno ma lo nascondono, come una verità scomoda che ti fa arrossire e di cui ti vergogni. Al tempo stesso agisce un elemento di rimozione del problema frutto del ricatto del padrone che concede il solo lavoro possibile. La vicenda dell’Ilva abbiamo detto che è complessa ed è giusto che sia il territorio ad indagarne le contraddizioni ed a raccontare ciò che succede.
 
Questa vicenda però ci dice chiaramente alcune cose.
La prima è che non possiamo più immaginare il tema della salute come elemento estraneo alla lotta di classe. Fa davvero impressione notare l’assenza di presa di posizione di un sindacato come la Fiom, che da alcuni anni ha cominciato a parlare di riconversione ecologica, di salute dei lavoratori e del territorio come elemento centrale di un piano di rivendicazioni complessive degli operai. A farsi sentire sono quei sindacati, come la Cisl e la Uil che “difendono il lavoro contro gli ambientalisti”. Quei sindacati complici dei padroni dell’Ilva che non vedono come gli elementi stessi del conflitto sindacale siano completamente sovvertiti quando quelle che dovrebbero essere le organizzazioni degli operai hanno gli stessi interessi del padrone. Non considerare l’elemento della salute come parte integrante del conflitto tra capitale e lavoro, dove la salute da tutelare è quella degli operai, del territorio e di chi lo vive, significa anche rinunciare ad una funzione di formazione rispetto al territorio a cominciare da chi in fabbrica ci lavora. Se oggi a Taranto, e non solo, si parla di difendere il lavoro contro la salute e l’ambiente è perché negli anni proprio i sindacati hanno rinunciato a considerare quell’elemento come parte della lotta di classe.
La seconda è che ogni volta che si parla di necessità di immaginare un modello di sviluppo alternativo a quello esistente non possiamo continuare ad agire sul piano dell’astrazione. Le infinite contraddizioni della vicenda dell’Ilva devono farci capire che si deve avere sempre il coraggio di stare da una parte. Produrre acciaio inquina. Non esiste possibilità di produrre acciaio salvaguardando la salute del territorio. Per questo difronte a queste divaricazioni non può esserci nessuna via di mezzo, non può esserci nessuna chimera riformista per rendere il gigante di veleno un gigante buono. Bisogna stare da una parte. O dalla parte degli interessi di chi vive e muore sul territorio – tra cui anche chi in fabbrica non ci lavora - oppure dalla parte dei padroni che agiscono il ricatto del lavoro come strumento di calmierazione dei conflitti.

A Seveso i cittadini continuarono ad essere terrorizzati per anni da quei 41 fusti di rifiuti tossici frutto dello smantellamento del reattore dell’Icmesa.
Nell’estate del 1982 fu comunicato ai cittadini di Seveso che i rifiuti erano andati via per sempre. Non fu detta la destinazione. L’importante era farli sparire per far tornare la tranquillità. Vagarono in tutta Europa con la complicità del governo democristiano, di faccendieri e servizi segreti di mezzo continente, mentre le 4 vasche con i rifiuti di tutta l’area inquinata dall’Icmesa restarono proprio lì. L’importante era dare parole di tranquillità per continuare a mostrare il volto buono della produzione industriale.
C’è da scommetterci che tra qualche giorno ai cittadini di Taranto sarà comunicato che sono state varate misure che permettono di riprendere la produzione senza inquinare. Tutti saranno tranquilli. O magari (speriamo!) no.
Cose che passano veloci. Come le nuvole cariche di veleni.
Nuvole rapide.

27 luglio 2012

La magistratura è intervenuta perché è fallita la politica

 (fonte peacelink.it)
Scattano i provvedimenti a carico di chi ha diretto l'azienda. Per tutti questi anni PeaceLink ha lavorato per difendere la salute dei bambini e avviare le bonifiche ambientali. A Taranto, secondo i periti della magistratura, muoiono 2 persone ogni mese per inquinamento industriale.

«Mi complimento per gli sforzi e i risultati ottenuti da Ilva. Attraverso i recenti dati clinici che ci giungono dalle Asl territoriali, emergono dati confortanti in relazioni alle malattie più gravi, patologie che non risultano in aumento, anche grazie al miglioramento dell’ambiente e della qualità dell’aria». 
Questo affermava il sindaco di Taranto Ippazio Stefano nell'ottobre del 2011 sulla rivista IL PONTE N.3 (rivista promossa da Ilva), precisamente a pagina 19.
Poi sono arrivate le due perizie della magistratura, una dei chimici e una degli epidemiologi.
Il sindaco è stato clamorosamente smentito dai periti della Procura della Repubblica che hanno invece scritto queste cose.
1) Nel 2010 Ilva ha emesso dai propri camini oltre 4 mila tonnellate di polveri, 11 mila tonnellate di diossido di azoto e 11 mila e 300 tonnellate di anidride solforosa (oltre a: 7 tonnellate di acido cloridrico; 1 tonnellata e 300 chili di benzene; 338,5 chili di IPA; 52,5 grammi di benzo(a)pirene; 14,9 grammi di composti organici dibenzo-p-diossine e policlorodibenzofurani (PCDD/F). Vedere pag. 517 della perizia dei chimici.

2) I livelli di diossina e PCB rinvenuti negli animali abbattuti e accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto sono riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva di Taranto. Vedere pag. 521 della perizia dei chimici.
3) La stessa Ilva stima che le sostanze non convogliate emesse dai suoi stabilimenti sono quantificate in 2148 tonnellate di polveri; 8800 chili di IPA; 15 tonnellate e 400 chili di benzene; 130 tonnellate di acido solfidrico; 64 tonnellate di anidride solforosa e 467 tonnellate e 700 chili di Composti Organici Volatili. Vedere pag. 528 della perizia dei chimici.
4) La fuoriuscita di gas e nubi rossastre dal siderurgico (slopping), fenomeno documentato dai periti chimici e dai carabinieri del NOE di Lecce, ammonta a 544 tonnellate all’anno di polveri?
Vedere pag. 528 della perizia dei chimici.

5) Sarebbero 386 i morti (30 morti per anno) attribuibili alle emissioni industriali.
Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
6) Sono 237 i casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero (18 casi per anno) attribuibili alle emissioni industriali.
Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
7) Sono 247 gli eventi coronarici con ricorso al ricovero (19 per anno) attribuiti alle emissioni industriali. Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
8 ) Sono 937 i casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno) (in gran parte tra i bambini) attribuiti alle emissioni industriali. Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
9) Sono 17 i casi di tumore maligno tra i bambini con diagnosi da ricovero ospedaliero attribuibili alle emissioni industriali. Vedere pag. 220 della perizia degli epidemiologi.
10) I periti hanno concluso che l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione “fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”.

Ripercorriamo alcuni passi della vicenda.

2008
Le analisi di laboratorio (commissionate da PeaceLink) sul pecorino evidenziano concentrazioni di diossina e Pcb tre volte superiori ai limiti di legge.
L’Asl di Taranto ordina l’abbattimento di 1.300 capi di bestiame allevati a ridosso dell’Ilva

2009
Ventimila persone sfilano a Taranto contro l'inquinamento aderendo all'appello lanciato da Altamarea.

2010
PeaceLink e Altamarea evidenziano troppa diossina nelle carni di ovini e caprini. Un’ordinanza della Regione Puglia vieta il consumo del fegato degli ovini e caprini cresciuti in un raggio di 20 chilometri dall’area industriale di Taranto.
2011
Il Fondo Antidiossina Taranto fa analizzare dei mitili. Emergono valori estremamente preoccupanti. L’Asl di Taranto vieta il prelievo e la vendita delle cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo. I mitili presentano concentrazioni di diossina e Pcb superiori ai limiti di legge.

2012
La magistratura mette i sigilli agli impianti più inquinanti dell'Ilva.
Che altro dovevano fare i magistrati?

Note:
La perizia degli epidemiologi
Che fare per tutelare gli operai: un progetto per le bonifiche http://www.peacelink.it/ecologia/docs/4131.pdf

20 luglio 2012

Oltre 10 mila firme a sostegno della richiesta di una indagine epidemiologica a Brindisi.

Comunicato stampa BBC
Brindisi Bene Comune aveva già dallo scorso anno richiesto alle principali autorità, Regione, Provincia, Comune, ASL e Arpa, l’avvio di una indagine epidemiologica per poter definire con dati scientifici lo stato di salute dei brindisini e la relazione tra l’emergenza ambientale e i preoccupanti dati sanitari che emergevano da alcuni studi epidemiologici.
Per supportare tale richiesta abbiamo raccolto 10220 firme che verranno nei prossimi giorni depositate presso gli enti suddetti, per essere protocollate e successivamente consegnate ai rappresentanti delle istituzioni martedì 24 luglio alle ore 11.00 presso la sala conferenze di Palazzo Nervegna.

Per tali motivi condividiamo ed apprezziamo l’iniziativa del Sindaco Mimmo Consales di convocazione di un incontro per il prossimo 9 luglio propedeutico all’istituzione di un tavolo tecnico operativo per la costituzione del registro tumori e per l’osservatorio epidemiologico a Brindisi. Tavolo che vedrà la partecipazione dei Dottori Giuseppe Latini e Maurizio Portaluri tra i promotori della nostra richiesta da loro sostenuta con grande partecipazione ed energia.

Martedì 24 luglio oltre a consegnare le firme raccolte chiederemo che le istituzioni si adoperino per soddisfare la richiesta di partecipazione e di conoscenza dei cittadini. Per favorire ciò, si istituisca presso il Comune di Brindisi un tavolo tecnico-scientifico. Una conferenza permanente, aperta alla partecipazione dei movimenti, e composta da tecnici dell’ASL e dell’ARPA, e da ricercatori del CNR e delle Università che hanno condotto studi sulla salute della popolazione e sull’ambiente.

In sintesi, seguendo le indicazioni provenienti da istituti nazionali e da esperienze che si sono avute, anche in ambito giudiziario, in territori limitrofi, l’indagine epidemiologica che si propone di condurre si articola nei seguenti studi e raccolte sistematiche di dati:
  • 1) studio di serie temporali epidemiologiche, per l'analisi degli effetti a breve termine dell'inquinamento atmosferico;
  • 2) studi geografici a livello sub-comunale;
  • 3) studio di biomonitoraggio;
  • 4) studio sulla eziologia delle malformazioni a Brindisi e registro di malformazioni;
  • 5) studio di coorte dei dipendenti del petrolchimico e di alcuni comparti dell’area portuale;
  • 6) studio di coorte di popolazione;

Gran parte degli studi che si propongono si gioverebbe di un registro tumori. Un registro che riprendesse la rilevazione sistematica dei nuovi casi di malattia nel punto in cui la rilevazione fu abbandonata (2001) dal Registro Tumori Jonico Salentino.

Un’ulteriore spinta alla conoscenza, alla prevenzione della salute collettiva e alla tutela dell’ambiente deriverebbe dall‘istituzione anche nella città di Brindisi di una Bioteca, che sull’esempio di Sarroch sia al tempo stesso una raccolta sistematica di materiali biologici e luogo di confronto tra ricercatori e donatori.

Le istituzioni, infine, favoriscano o adottino, se di competenza, misure precauzionali come la bonifica dei siti inquinati e la riduzione dell’emissione di sostanze tossiche nell’ambiente. Misure che sono improcrastinabili, alla luce delle evidenze scientifiche già disponibili e del quadro normativo in essere affinché non si perpetui - come sosteneva Lorenzo Tomatis – ex-direttore dell’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - l’antica, e continua, ingiustizia che qualcuno si deve ammalare e morire prima che il pericolo sia riconosciuto ufficialmente.

13 luglio 2012

Salento fuoco e fumo.

Arriva in libreria per la collana Contromano di Laterza "Salento fuoco e fumo" di Nandu Popu.
Pubblichiamo un estratto dal capitolo:  "Lu soundsystem ete la BBC delli poveri". 
 
Vedere il mondo dalla sella di una bici è diverso. Vi rivelo un segreto: pedalare è come volare. La bici dopo alcuni istanti scompare. Sparisce pure il mio dialogo interno. Scompaiono i suoni della campagna, scompare il rumore delle mie pedalate, il fruscio dei copertoni che mordono il terreno. È a questo punto, quando tutto intorno è silente, quando anche la bici scompare sotto le mie gambe, che mi sembra di volare. Sì, volare. Dolcemente volare. Chissà se Modugno andava in bici... Da quando faccio le gare di cross country ho iniziato ad alimentarmi con criterio, riscoprendo la dieta dei miei nonni. Credetemi, per un atleta è il massimo. Non mangio più cadaveri rossi (carne rossa), tutt’al più un po’ di pollo due volte al mese, e mi perdoni il formaggio se oramai i suoi grassi raggiungono solo di rado i miei vasi sanguigni. Oggi mi nutro in modo sano, con verdure, cereali e legumi, e la mattina mi accontento di una colazione a base di caffè, banane, kiwi, arance e un cornetto. E poi, essendo ciclista, mi dopo! Nel senso che uso sostanze dopanti che alterano le mie prestazioni. Il mio doping è assolutamente legale, e funziona bene ugualmente: io mi faccio di alga spirulina, un’alga che contiene un mucchio di vitamine B che, a quanto pare, annullano la stanchezza. Che i pensieri ci danneggiano, l’ho capito in bici. Ho già detto che la sensazione più gratificante che si prova su una bicicletta è l’interruzione del dialogo interno: tradotto in parole, significa smettere di pensare, smettere di ascoltare quella voce dentro di te che parla, si arrabbia, simula discussioni talvolta improbabili, prevede, profetizza assurdità, ricorda, dimentica, sfida, si nasconde e chissà di cos’altro è capace. Pensiamo sempre, ininterrottamente. Bene, talvolta questi pensieri crescono di volume, diventano assordanti e insignificanti. E più si fanno assordanti, più sono insignificanti. Bisogna smettere di pensare per un momento, in un mondo con troppi pensieri e pochi pensatori – ripete sempre zio Maurizio. Gianluca, il mio compagno di squadra, è un ottimo biker, dalla pedalata potente e continua, un passista insomma, mentre io sono uno scattista e vivo di soli agguati. Lo conosco da quando eravamo piccoli. Vive a San Pietro Vernotico, un paese distante una decina di chilometri dal mio, e insieme a lui faccio parte di un team di bikers. La nostra squadra ha due obiettivi: le escursioni infrasettimanali, che giovano tanto all’umore quanto alle gambe, e poi le gare che ci permettono di passare intere domeniche in giro per il Sud Italia. Il team è composto da trentaquattro bikers, quattordici hanno meno di quindici anni e sono la nostra speranza: durante le gare li “carichiamo” per spingerli a dare il massimo, durante la settimana cerchiamo di fargli usare il cervello, perché lo sport è inutile se non riesci a dargli una ragione. Molti di loro vivono nella 167, un quartiere degradato di San Pietro Vernotico, che in passato è stato uno dei centri di comando della Sacra Corona Unita. Capirete anche voi che in questi casi la mountain bike diventa una sorta di prevenzione per i minori a rischio. Le gare permettono loro di conoscere altre storie, altre situazioni, altri coetanei che non parlano di compari, lupare bianche, rapine e borsoni da spostare da un punto all’altro del paese. E noi speriamo che li spingano a uscire, a tirarsi fuori dai quartieri violenti. Noi gli insegniamo a pedalare, a rispettare le regole in gara, a imparare le tecniche e le discipline che consentono alle nostre bici di essere pedalate. Non è una scuola e non riceveranno alcun titolo, ma tornano a casa stanchi e con qualche idea in più. Gianluca è uno di quei bikers dotati d’infinita pazienza, capace di portarsi in giro per gli sterrati tutti quei ragazzini chiassosi e brufolosi. Dovreste vederlo all’opera: è capace di gestirli con un solo sguardo, manco fosse un sergente di ferro. Però così i ragazzi crescono disciplinati. Ma è un ruolo che si è ritagliato solo quando allena, perché Gianluca è soprattutto una persona gioviale e corretta, e se si comporta in modo inflessibile è solo perché conosce i quartieri degradati e sa bene che finché questi piccoli bikers avranno timore di arrivare in ritardo ai suoi allenamenti avremo la possibilità di sottrarli alla criminalità.
(continuate la lettura in libreria)

12 luglio 2012

NO AL CARBONE? E' DIRITTO DI CRITICA.

Ve lo ricordate questo titolo?  Dopo appena 3 mesi Enel colleziona il secondo flop e il tentativo di oscurare la campagna di Greenpeace, si riduce in un misero nulla di fatto.

Il giudice del tribunale di Roma ritiene che “il nucleo essenziale della notizia riportata da Greenpeace è conforme a verità…”, che “le espressioni utilizzate dalla resistente [Greenpeace] appaiono infatti (…) conformi all’importanza e all’interesse della tematica trattata”
"È prerogativa di chi è nel torto voler zittire il prossimo. Enel è nel torto. Enel ha provato a censurare la nostra campagna, ha chiesto che fosse oscurata. Ha voluto usare il bavaglio. Ma ha fallito",  scrive Andrea Boraschi, responsabile della campagna Facciamo luce su Enel.




8 luglio 2012

Uno per tutti e tutti per Enel!

Come D'Artagnan, Fulvio Conti, amministratore delegato Enel, arriva a Brindisi e ad aspettarlo i tre moschettieri Consales, Ferrarese e la Capone con in testa, non un cappello di piume ma bensì un elmetto da operaio. 
Uno per tutti e tutti per uno!
Contentissimi si fanno fotografare mentre insieme posano la prima pietra del carbonile coperto, che ancora non lo è, forse lo sarà tra 3/4 anni.
Il carbonile della vergogna.  

Oltre 15 anni di tonnellate di carbone stoccate completamente all'aperto hanno causato , e continuano a farlo, inquinamento e morte.  
Un carbonile scoperto è roba da terzo mondo, e per Enel un lusso che solo a Brindisi poteva concedersi, non capiamo quindi cosa ci sia da essere contenti!
Il sindaco  Consales invece che elogiare la decisione farebbe meglio a chiedere un risarcimento per non averlo coperto prima, ma soprattutto non c'è nulla da esser contenti perchè l'inizio di quest'opera conferma la decisione di Enel di continuare a bruciare carbone a Brindisi per altri 30-40 anni.

“Il ruolo di un’azienda si misura sul livello della sua responsabilità sociale”, ha detto la vice presidente della Regione Puglia, Loredana Capone, ricordando l’attenzione dell’amministrazione Vendola per le problematiche del fabbisogno energetico del Paese, e del polo energetico di Brindisi.

Responsabilità sociale, certo! Non dimentichiamoci però quelle civili e penali, che attendiamo vengano accertate dalla magistratura.
Tutti contenti quindi, ringraziando Mamma Enel per il prossimo campionato di lega A1 e mettendo definitivamente una pietra sopra allo sviluppo della costa e alla possibilità di fare turismo. 

Tutti contenti e orgogliosi di avere sotto il naso la centrale a carbone più inquinante d'Italia.

[leggi la notizia su BrindisiReport.it]

5 luglio 2012

Soda caustica sversata in mare. E' allarme al Petrolchimico.

"Una volta su mille vengono beccati perchè non possono negare o nascondere l'evidenza. 
La popolazione viena informata e, forse, i responsabili ne pagheranno le conseguenze. Mentre noi, stretti in una morsa, impotenti e assediati da più parti, quelle conseguenze le paghiamo già e amaramente. Il danno è tutto nostro perchè scorre nel nostro sangue e in quello dei nostri figli. Penso a tutte le altre volte in cui TUTTI, non solo al petrolchimico, hanno inquinato e continuano a farlo in maniera selvaggia, indisturbati e impunemente. Penso a quanto dipendiamo dalle scelte di certi mascalzoni, dalla malafede, dall'ignoranza e dalla superficialità con la quale, in genere, ci si rapporta alla gravità dei fatti che accadono. Siamo proprio messi male... assuefatti."

Grave incidente, dal petrolchimico soda caustica in mare. E' allarme. 
di Marcello Orlandini
Petrolchimico -foto: BrindisiReport
L'area dell'incidente
BRINDISI – Convivere con impianti a rischio, contrariamente a quanto sostengono alcuni settori dell’impresa e del sindacato brindisini, comporta spesso un alto prezzo per l’ambiente e per la sicurezza. Mentre le torce della fabbrica continuano a bruciare in atmosfera sostanze chimiche di vario genere, in attesa della realizzazione degli interventi tecnici richiesti dalla procura della Repubblica e non ancora completati malgrado varie proroghe, oggi un altro incidente ha provocato lo sversamento in mare da un impianto del petrolchimico di soda caustica al 10 per cento.


Lo fa sapere stasera la Capitaneria di Porto con un comunicato emesso alle 20,40. L’incidente è avvenuto nel primo pomeriggio. La Capitaneria è stata avvertita dall’Eni che un quantitativo imprecisato di soda caustica in soluzione al 10 per cento è finito in mare per “cause in corso di accertamento” nello specchio d’acqua tra Capo di Torre Cavallo e le Isole Pedagne, un tratto interdetto alla balneazione ma ugualmente molto frequentato.

Lo fa sapere stasera la Capitaneria di Porto con un comunicato emesso alle 20,40. L’incidente è avvenuto nel primo pomeriggio. La Capitaneria è stata avvertita dall’Eni che un quantitativo imprecisato di soda caustica in soluzione al 10 per cento è finito in mare per “cause in corso di accertamento” nello specchio d’acqua tra Capo di Torre Cavallo e le Isole Pedagne, un tratto interdetto alla balneazione ma ugualmente molto frequentato.

 [leggi l'articolo completo su BrindisiReport.it]

4 luglio 2012

Contro la censura di Enel non siamo soli

A volte dire la verità può essere un'attività rischiosa, che comporta conseguenze o problemi veri e propri. E, tuttavia, dire la verità rimane - a maggior ragione - un imperativo, un'esigenza imprescindibile.

Questo pensiamo oggi: che nella campagna contro Enel - il più grande consumatore di carbone in Italia, il più grande emettitore di gas serra del Paese, il quarto in Europa - abbiamo raccontato un pezzo di verità di cui è impossibile pentirsi o disfarsi facilmente.

Anche se Enel ci ha portato in tribunale, accusandoci di diffamazione e chiedendo l'oscuramento della nostra campagna. Anche se a questa prima citazione in giudizio seguirà una richiesta economica di indennizzo, che potrebbe essere milionaria. Sono questi i mezzi che usa la famosa "energia che ti ascolta": già li conoscevamo e non ci hanno mai fermati.

Non ci fermeranno neppure questa volta, continueremo comunque, e fin quando ve ne sarà bisogno, a "Fare Luce su Enel". Lo ricordiamo ancora: la sua produzione termoelettrica col carbone è causa, in Italia, di una morte prematura al giorno e di circa 2 miliardi di euro di danni l'anno; se estendiamo l'analisi a tutta l'Europa, il carbone Enel costa quasi 1.100 morti premature l'anno e danni per 4,3 miliardi di euro.

Enel non sopporta le contestazioni, le proteste, le critiche. Tanto meno quando si fanno severe. Enel vuol censurare Greenpeace. Si illude di poter zittire la nostra voce, di cancellare la verità sul suo conto portata alla luce in questi mesi.

Intanto, in questi giorni, molti cittadini ci hanno espresso solidarietà. Li ringraziamo così, con queste parole, perché le loro testimonianze e i loro incoraggiamenti ci danno forza. E ringraziamo anche Enrico Panini, Segretario Confederale della CGIL, i senatori Francesco Ferrante e Roberto Della Seta del PD, l'eurodeputato dell'Italia dei Valori Andrea Zanoni, così come Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, e Maria Grazia Midulla del WWF Italia. E Monica Frassoni, presidente del Partito Verde Europeo, che sta predisponendo un'interrogazione all'Unione su questo caso.

Grazie a tutti voi. Noi andiamo avanti, ricordando un prezioso insegnamento di Gandhi: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci."