5 novembre 2012

EUROPA: LA BOMBA DELLE CENTRALI A CARBONE.

Fonte: piergiorgio cattani - unimondo.org

Alcuni mostri si aggirano per l’Europa. Più che muoversi stanno fermi ma la loro presenza si percepisce anche a centinaia di kilometri di distanza. Stiamo parlando delle centrali termoelettriche a carbone.
Belchatow, Polonia
Se la pericolosità delle centrali nucleari si misura nel rapporto tra i benefici di un sistema più o meno efficiente e i costi altissimi di eventuali incidenti agli impianti, l’inquinamento generato dalla combustione di carbone (in tutte le sue forme) è visibile a distanza, è percepibile immediatamente dentro i polmoni, è quantificabile nelle emissioni di anidride carbonica.È un inquinamento quotidiano, a cui da tempo si sarebbe dovuto porre un argine: le mastodontiche dimensioni degli apparati produttivi, le ingentissime risorse finanziarie che servirebbero per una riconversione ecologica, la volontà degli Stati di mantenere un certo autonomo margine di manovra in campo energetico, vari tipi di interesse delle grandi multinazionali sono solo alcuni fattori che rendono evidente la difficoltà di ammodernare un comparto vitale per il nostro futuro.
Eppure l’Europa si era data obiettivi ambiziosi sulla riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020. Traguardo arduo da raggiungere. Anche perché la “disunione europea” non si manifesta soltanto nel persistere di interessi nazionali, come dimostra il modo in cui si sta affrontando la crisi dei debiti sovrani, ma anche nella pressoché totale assenza di una politica energetica comune. Al di là della retorica infatti c’è chi spinge per un rapporto univoco e diretto con la Russia (vedi la Germania), chi sogna l’autosufficienza puntando sulla nuova futuribile tecnologia di fusione dell’idrogeno (vedi Francia), chi non sa che pesci pigliare e raccatta tutto il gas a disposizione (vedi Italia) e chi mantiene un obsoleto settore di produzione di energia non curandosi dell’impatto ambientale (vedi i paesi dell’ex blocco comunista con l’eccezione della Lettonia).
I costi di questa mancata strategia continentale, oltre che economici e strategici, riguardano la salute nostra e del pianeta. Le cifre fornite dall’Agenzia europea per l’ambiente sono incontrovertibili. Come riporta il quotidiano La Stampa: “Le emissioni di agenti inquinanti nel 2009 pesavano tra i 102 e i 169 miliardi l’anno, ovvero dai 200 ai 330 euro a persona. Quel che colpisce di più è che ben il 50 per cento dei costi aggiuntivi (tra 51 e 85 miliardi) sono generati da soltanto 191 impianti. è il 2% del totale di quelli censiti, quelli più «sporchi» in assoluto. Il 75% del totale delle emissioni è prodotto da soli 622 siti industriali.
Cerano, Brindisi
A guidare la classifica - che è calcolata sui dati del 2009 - sono le centrali termoelettriche, in particolare a carbone o a olio combustibile; il discutibile primato di industria più inquinante in assoluto d’Europa se lo aggiudica la famigerata centrale elettrica di Belchatow, in Polonia, una «bestia» alimentata a lignite (un carbone di particolare bassa qualità) da 5.000 MW nei pressi della città di Lodz. Tra le prime venti però troviamo anche la centrale termoelettrica Enel Federico II di Brindisi, che da sola genera costi connessi ad inquinamento tra i 536 e i 707 milioni di euro l’anno. E al 52esimo posto c’è l’acciaieria Ilva di Taranto, che ci costa dai 283 ai 463 milioni l’anno”.
Il mostro polacco è quello più pericoloso. La storia di Belchatow comincia negli anni ‘70: occorreva sfruttare le miniere di carbone limitrofe, ed ecco una centrale a lignite, una delle forme più elementari e grezze (quindi più inquinanti) del carbone. Persino una brochure auto celebrativa della centrale, ora di proprietà dell’azienda polacca PGE e della multinazionale francese Alstom, descrive la situazione fino agli anni ‘90: “Il progetto originario non aveva previsto nessuna misura per limitare le emissioni di ossidi di zolfo perché a quel tempo le tecnologie di desolforizzazione dei gas erano praticamente sconosciute o soltanto in una fase di sviluppo”. Le migliorie apportate successivamente non migliorarono l’impatto inquinante delle 12 unità che compongono la centrale, se pensiamo che nel 2008 sono state emesse 31 milioni di tonnellate di CO2 per una produzione di energia di 28 TWh (il 20% dell’intero fabbisogno del paese). Si è così progettato un piano generale di ammodernamento. Così descriveva la situazione nel 2009 Greenreport: “Il responsabile della centrale di Belchatow, Jacek Kaczorowski, non si scompone più di tanto e in una intervista alla Reuters ha detto che «Le nostre emissioni nei prossimi anni, nel periodo contabile 2008-2012, resteranno a livelli simili. Così, in breve, alla fine di tutto il periodo, ci vorranno circa 14 - 20 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2».
Per rientrare nei limiti europei con l’ampliamento la centrale pensa di risolvere la cosa ricorrendo allo stoccaggio sotterraneo delle emissioni di CO2. Quindi la Polonia non intende rinunciare alle sue super-inquinanti centrali a carbone, ma chiede all’Unione europea di finanziare la ricerca e la tecnologia per la Carbon caputre storage (Ccs) per poter “imprigionare” un terzo dei gas serra prodotti dal nuovo blocco produttivo.
«Ma anche se non avremo i soldi dell’Unione europea, dovremo andare avanti con il progetto a causa della necessità di ridurre le emissioni - ammette Kaczorowski. Dobbiamo andare verso lo sviluppo delle tecnologie Ccs per rimanere competitivi»“.
Belchatow non lascia ma raddoppia costruendo un’altra unità da più di 800 MW, sulla carta molto meno inquinante del complesso della centrale, e chiudendo i camini più vecchi. Il progetto viene portato a termine nei tempi prestabiliti e proprio in questi giorni vengono inaugurate le strutture. L’obiettivo di diminuire le emissioni è però ancora lontano. Mancano soldi e soprattutto volontà politica. Il carbone resta una materia prima a basso costo e in Europa si sta pensando a nuove centrali. Una strada che contraddice ogni istanza ambientale.

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