12 luglio 2015

EMERGENZA BRINDISI, CRONACA DI UN DISASTRO.

Lo stato dell’arte in cui si trovano una città, una comunità ed in generale un territorio, non è forse figlio delle scelte e della programmazione, pensate prima e poi messe in atto dalle istituzioni, dalla classe dirigente, nello specifico dalla politica, fatta di quelle persone che si candidano alla gestione del bene comune ed alle quali il cittadino affida le sorti di uno sviluppo teso al benessere diffuso? 
Se, come crediamo, la risposta a questo quesito non può che essere affermativa, possiamo dunque, senza ombra di smentita o giustificazione, affermare che Brindisi vaga in un oblio senza meta, incapace di prendere una qualsiasi direzione, in pratica tira a campare. Partendo quindi dal quesito iniziale, diviene facile ed elementare individuare i principali responsabili di questo scempio, ciò non di meno non si possono tacere le responsabilità collaterali di tutti gli altri attori che concorrono, o dovrebbero concorrere, alla vita e allo sviluppo di un tessuto sociale. 

Nel caso di Brindisi - definita area SIN ad elevato rischio di crisi ambientale e di incidente rilevante - istituzioni sanitare come ASL ed ARPA con il loro agire fatto di immobilismo ed incompetenza, forniscono alla politica gli alibi per alcune delle loro deficienze più gravi come nello specifico la mancata tutela della salute pubblica. Questo connubio tra istituzioni dal quale da decenni si partorisce il nulla - quando va bene - viene in un certo qual modo legittimato, dalla totale assenza di quella parte fondamentale per la crescita consapevole di una società, che è il giornalismo. Ci sarebbero decine e decine di inchieste da produrre, ci sarebbero centinaia di domande “scomode” da porre, pagine e pagine da scrivere sulla sistematica e probabilmente volontaria assenza anche solo di una visione che possa attuare un cambiamento in una città che langue nel suo torpore e nella sua miseria. Invece quotidianamente si assiste quasi, assuefatti, ad una pletora di inviati e servizi che il giornalismo, quello vero lo offendono, riducendolo, quando va bene, ad una mera cronaca, priva di critica, delle inconsistenti dichiarazioni degli attori poc’anzi citati. 
Questo poco idilliaco spaccato di una città allo sbando, non può essere completo se nel calderone non si inserisce, chi, probabilmente, è il maggiore responsabile di questo degrado con tendenza al ribasso. Parliamo della cittadinanza, che assolutamente passiva e troppo spesso indifferente, ha da decenni abdicato dal proprio ruolo di protagonista assoluto nonché di controllore dei propri rappresentanti, democraticamente scelti; scegliendo e ritagliandosi il poco nobile ruolo di assente ingiustificato ed ingiustificabile, relegando a sterili quanto inefficaci lamentele da bar, mercato o pianerottolo che sia, il proprio dissenso, nel quale l’apice dello sdegno e dell’azione si produce, comodamente seduto sulla poltrona, inveendo contro la televisione o producendo sterili invettive sui social. 

Questi dunque a vario titolo i responsabili del declino di una comunità e dell’impoverimento di un territorio, responsabili della subalternità con cui, trattati alla stregua di una colonia interna, si è lasciato campo libero alle multinazionali di agire indisturbate. Brindisi è una città profondamente offesa nelle sue vocazioni, riconvertita a polo industriale da quella politica che già dal secondo dopo guerra, aveva ben chiaro il proprio ruolo, non certo quello di dedicare i propri mandati alla prosperità ed al benessere della cittadinanza, ma molto più semplicemente al proprio tornaconto o al massimo alle prossime elezioni, spendendo i propri mandati a compiacere il proprio bacino di voti, cercando in maniera sistematica la riconferma della propria poltrona. Dunque diviene accettato ed accettabile, per esempio, che la sala del Consiglio Comunale sia intitolata non a chi del lustro di Brindisi ne ha fatto motivo di vita, vedi per esempio Giovanni Tarantini o Pasquale Camassa, ma a quel Italo Giulio Caiati che da Caronte dantesco, traghettò verso la miseria questa città. Da questo piccolo esempio si capisce la perversione con cui la politica si approccia al concetto di benessere e crescita. 
Allora diviene forse più semplice capire, come ad esempio il Petrolchimico, spadroneggi su di un territorio in cui il primo cittadino nascondendosi dietro un dito non trova il coraggio di prendere di petto una situazione insostenibile. Il caso della totale strafottenza con cui nel caso dell’accensione delle torce venga ignorata da parte dell’azienda qualsiasi tipo di comunicazione alla città, o come lo è quella della discarica di fanghi industriali di Micorosa, di cui nessuno è responsabile essendosi praticamente autoprodotta, rappresentano l’emblema della subalternità in cui annaspiamo. 

Ma non è solo il Petrolchimico a godere di questa latitanza ingiustificata - quando non compiacente - delle istituzioni, infatti le compagne di merende del Petrolchimico hanno subito capito che Brindisi rappresentava una zona franca dove poter indisturbate generare il proprio profitto lasciando al territorio la miseria ed incalcolati quanto incalcolabili danni sanitari ed ambientali. E’ stato dunque facile, per Enel ad esempio, costruire una mega centrale, con un nastro trasportatore, unico esempio al mondo, lungo 13 chilometri che ha sfregiato un intera zona agricola, decretandone la morte privandola dell’acqua; perché ancora oggi a Cerano per i residenti l’acqua corrente non è disponibile ed ovviamente non vi è un responsabile. Neanche in occasione dei dati forniti dal CNR dallo studio “Impatto sulla salute della popolazione del particolato secondario originato da una sorgente industriale”, nel quale sono imputabili all’avvenieristico ed ecocompatibile impianto di Cerano 44 morti l’anno – praticamente 1 a settimana – il Sindaco è riuscito ad essere degno del ruolo che ricopre, riuscendo solo ad arrampicarsi pateticamente sugli specchi, consapevole di farlo. 
Gli esempi sarebbero tanti, ma per rendere ancora più evidente lo stato di abbandono in cui versa la città, oltre alla cronica mancanza di una progettualità verso un cambiamento e un rilancio non solo dell’economia ma più in generale di uno sviluppo armonico e sostenibile, sarà sufficiente citare una delle tante mancanze. Brindisi, non lo scopriamo certo noi, è un polo industriale con una concentrazione elevatissima di impianti impattanti è potenzialmente pericolosissimi, la cui reciproca vicinanza e la contemporanea collocazione attigua al centro abitato, la rendono una potenziale, ma concretissima, minaccia per l’incolumità della cittadinanza. In questa situazione talmente esplosiva, Brindisi ed il suo primo cittadino, si permettono il lusso di non dotare la città di un Piano d’emergenza, cosa che assume le dimensioni del grottesco se si pensa per esempio alla Direttiva 82/501/CEE - “Seveso I” - a proposito di informazione della popolazione si legge: "Le persone che potrebbero subire all’esterno degli stabilimenti le conseguenze di un incidente rilevante devono essere adeguatamente informate sulle misure di sicurezza da adottare e sui comportamenti da assumere." Il grottesco diviene ridicolo se si legge quanto riportato dal sito del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui risulta che nella provincia di Brindisi tutti i Comuni sono dotati di un Piano di Emergenza tranne Brindisi. 

In questa terra di nessuno, o sarebbe meglio dire, in questa terra abbandonata da Dio e dagli uomini di buona volontà, consegnata senza attenuanti all’uso e consumo delle multinazionali, continuiamo ad attendere un cambiamento, o anche solo un qualcosa che vagamente gli assomigli. Dopo l’ennesimo esposto dunque, attendiamo che la magistratura, qualora lo ritenga opportuno, faccia il suo corso, ma attendiamo ancor più speranzosi una sferzata di orgoglio un moto d’impeto che dia nuovo vigore ad una cittadinanza nelle cui mani è racchiuso il germoglio della rinascita. Il cambiamento, tanto auspicato a parole, potrà essere innescato solo se la comunità di questo territorio diverrà coesa nel dire una volte per tutte basta, se finalmente si batteranno per il diritto di vivere una vita degna di questo nome e libera dalle catene delle multinazionali che non vogliono una Brindisi diversa.

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