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BRINDISI - “Da anni qui il cielo è sempre più coperto”. A parlare la signora Spedicato, solo una delle tante persone che vivono da anni sotto una cappa di nuvole e fumo da far dimenticare di trovarsi a poca distanza dalle coste salentine. La famiglia Spedicato è la prima in cui ci s’imbatte inoltrandosi nell’area sottoposta a divieto di coltivazione nelle zone agricole, che si trovano tra Brindisi e Cerano. A condannare le circa 150 famiglie, di cui almeno un terzo residenti sul posto, è quello che ormai da molti viene definito un ecomostro: la centrale Enel Federico II. Entrata in funzione nel 1990, la centrale termoelettrica si trova a 12 Km da Brindisi ed occupa un imponente spazio di 270 ettari. E’ collegata tramite quattro elettrodotti da 380 KW alla stazione elettrica di Tuturano, da cui si dipartono le linee nazionali. Con una canna fumaria di 200 metri, la centrale arriva a produrre fino a 60 GW al giorno, disperdendo i suoi fumi inquinanti su gran parte del territorio circostante, per questo motivo dal 28 giugno del 2007 il Comune di Brindisi ha imposto con un’ordinanza il divieto di coltivazione e la distruzione delle colture erbacee, compresi i frutti pendenti originati dalle stesse colture e la distruzione di produzioni rivenienti da impianti arborei. In particolare le aree agricole interessate dal divieto hanno la sfortuna di trovarsi a poca distanza dal passaggio del nastro trasportatore, che parte nei pressi del porto di Brindisi, dove arriva per mezzo di navi, e che è in grado di trasferire oltre 2000 tonnellate per ora, di combustibile alla centrale. Sul totale della lunghezza di 13 Km, sono sette i Km su cui è stato imposto il divieto di coltivazione, in un’ area agricola del Comune stesso, su un’estensione di circa 400 ettari, ovvero la località S. Lucia – Cerano, motivando il provvedimento con la presenza di presunte contaminazioni lungo il percorso dei nastri trasportatori che collegano la centrale Enel di Cerano al porto di Brindisi.
Da quattro anni ormai questa situazione costringe intere famiglie a fare a meno dell’unica loro risorsa per vivere, produrre e in diversi casi dare lavoro ad altre decine di operai. Una di queste è proprio la famiglia Spedicato, che oltre a vivere da anni nella zona, ha fondato e mandato avanti un’impresa agricola nota in tutta la zona del tuturanese. Nella grande casa di campagna degli Spedicato si confondono attrezzi per la campagna con gli arredi e i giochi dei nipotini, oggetti della quotidianità che, oltre l’attività lavorativa, sono segnati ormai da tempo dalla vicina presenza della centrale.
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