Di seguito la lettera scritta da Flavio e pubblicata sul Quotidiano della Calabria e poi sul suo blog.
Da Brindisi un abbraccio a Flavio. Sempre Resistenza con forza e senza paura.
Mi armo di parola contro le bestie.
Erano lì, sedute comodamente a tavola in una pizzeria nei pressi dell’Università, le bestie che una settimana fa mi hanno massacrato per strada senza motivo, in tre.
I delicatoni ordinavano un’insalata, ben pettinati, curati, uno di loro di certo lampadato. Io ho il naso fratturato, me lo hanno rotto con pugni e gomitate, e da poco ho rimosso i punti all’arcata sopraccigliare. Mi trovavo lì solo per prendere una pizza da portar via. Dopo avermi visto ed aver sussurrato qualcosa sottovoce tra loro, ghignando, il lampadato si è alzato venendo fuori, nei pressi del forno a legna dove stavo aspettando la mia pizza. Lentamente mi è passato vicino, ha dato un’occhiata fuori dalla pizzeria, dove era parcheggiata la mia macchina, come a dirmi che la stava tenendo d’occhio, dopo di che è tornato al tavolo.
Li ho denunciati, sono stati identificati, e credo che non abbiano apprezzato granché la cosa. Di ritorno a casa, tra rabbia e paura, mi sono chiesto se è ancora il caso di restare qui, vivendo fianco a fianco con questi guappetti da quattro soldi ma talmente vigliacchi da poter fare qualsiasi cosa se solo hanno la certezza di poter vincere facilmente o di poter scappare al momento giusto.
Funziona così: ti massacrano e tu passi i giorni seguenti tra ospedali e caserme, a lavare il sangue dalla macchina, a tranquillizzare chi ti sta vicino mentre allo specchio tranquillizzi te stesso. Loro nel frattempo vanno dall’estetista, spacciano coca e mangiano insalate.
Non c’è una volante a proteggerti in ogni luogo. Gli angoli deserti e bui nelle città ad immagine di questa società, fatte di lustri in centro e giungle in periferia, sono tanti. Ricordo che ci abbiamo provato, tempo fa, a spiegare che non servono le telecamere e gli eserciti per garantire sicurezza, ma servono luoghi vivi e sociali, colmi di discussioni e di vigili occhi umani, non di inutili occhi elettronici nel deserto. Ricordo che parlavamo proprio del luogo in cui sono stato picchiato per una ventina di minuti, senza che passasse nessuno per aiutarmi in qualche modo. Ricordo che lo abbiamo fatto invano.
Io non ho il denaro per permettermi una scorta, figuriamoci, e neanche una porta blindata. Non ho il porto d’armi per autodifesa e dovrei comunque essere davvero incazzato per sparare a qualcuno.
E allora ti dici: quasi quasi me ne vado, per paura o per quieto vivere. Hanno vinto, perché non sei stato il primo, e non sarai l’ultimo, e sulle piccole vigliaccherie impunite, le violenze di strada, le sopraffazioni di quartiere e le conseguenti paure ed omertà, si costruiscono le grandi mafie e questa società di sudditi e sovrani.
Allora non me ne vado più. Mi armo di parola. Non conosco nomi e cognomi, ed in verità non voglio conoscerli. So che i vili sanno di esserlo, e dovranno guardarsi allo specchio per quello che sono, e saranno riconosciuti e derisi per quello che sono. Non parlo solo di quei tre, ma di tutti quelli come loro.
Si aggirano per le città come saprofagi, ma a differenza di questi non hanno nè un’utilità naturale nè una dignità sociale.
Io non mi credo né Falcone né Impastato, non state leggendo “l’Idea Socialista”, anche perché non ho a che fare con Rina e Badalamenti, ma con poveretti che la società ha trasformato in aspiranti tronisti con troppi film di Tomas Milian alle spalle. E del resto se potessi scegliere, non li metterei in galera, mi basterebbe che si guardassero allo specchio schifati.
Tanta gente in questi giorni, per strada o nei negozi, mi confessa la propria disavventura, esperienza diretta o da genitori, fratelli, amici, quasi come se solo chi ha vissuto qualcosa di simile avesse la pazienza di ascoltare. La mia gente, che avrebbe dovuto avere uno sguardo rabbioso e determinato nei confronti di chi deturpa e condanna con la propria bassezza la nostra terra, che amo più di ogni altra cosa, invece mi guarda con occhi rassegnati e compatenti. No, non me ne vado più.
In pizzeria sono passato quasi tre ore fa, due ore fa mi sentivo debole, mentre ora, pur avendo letto solo io ciò che ho scritto, mi sento forte e circondato da miei simili.
Allora a voi tre ed a tutti quelli come voi, dico: venite a massacrarmi ora, anche in dieci contro uno. Potete spaccarmi tutte le ossa, potete sfigurare il mio volto e sfasciare la mia auto, potete accoltellarmi o spararmi, ma non farete neanche un graffio a quello che ho scritto, a quello che penso, e resterete comunque delle ignobili bestie senza dignità.
A tutti gli altri, alla mia gente, imploro di non avere paura, di non restare in silenzio nei confronti delle ingiustizie e delle violenze, di avere il coraggio di vivere liberi, di essere Uomini.
Flavio Stasi
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