30 ottobre 2009

La tecnologia per la cattura della CO2 favola o realtà?

Uno dei temi caldi affrontati sui tavoli tecnici delle convenzioni energetiche è quello della cattura della CO2.
Come molti sapranno la CO2, anidride carbonica, dispersa in atmosfera non è un gas tossico-nocivo ma è un gas clima alterante ed è il principale responsabile del cosiddetto effetto serra. La centrale Enel Federico II di Cerano bruciando 8 milioni di tonnellate di carbone all’anno è uno dei principali produttori di CO2 in Europa, produce infatti circa 15 milioni di tonnellate annue di CO2. I protocolli di Kyoto vincolano i paesi che l’hanno firmato alla riduzione della CO2 emessa in atmosfera e quindi anche l’Italia per non incorrere in pesanti sanzioni economiche deve adoperarsi per la riduzione della CO2.

Il primo e più semplice metodo per abbattere le emissioni di CO2 è ovviamente basato sulla riduzione del consumo del carbone, cosa che ridurrebbe anche le quantità di energia elettrica prodotta e quindi i profitti delle aziende elettriche.
Le aziende elettriche negli ultimi anni propongono un’altra via per ridurre le emissioni di CO2 basata su tecnologie per la cattura della CO2.
Ma in cosa consiste questa tecnologia? In breve essa viene denominata CCS ovvero cattura di carbonio e stoccaggio. Scopriamo quindi che la CO2 catturata in vari modi deve quindi essere stoccata in depositi. Attualmente si prevede di depositarla nel sottosuolo all’interno di giacimenti petroliferi o di gas ormai esauriti.

L’uso di queste tecnologie aprono in realtà tutta una serie di problemi su cui le aziende elettriche non forniscono spiegazioni chiare e convincenti:

1) Qualora anche a Brindisi si volesse realizzare un impianto per la cattura della CO2 con l’attuale tecnologia quanta CO2 si potrebbe sequestrare? Dal sito web dell’Enel otteniamo una prima risposta: “Intesa tra Enel e Institut francais du petrole per la realizzazione di un sistema di cattura post-combustione dell'anidride carbonica attraverso solventi chimici.
Enel realizzerà nella centrale "Federico II" un impianto pilota da 2,25 tonnellate l'ora di CO2, che entrerà in funzione a inizio 2010”.
Quindi uso di solventi chimici? Quali e con quale impatto ambientale ? Inoltre si cattura CO2 pari a 20.000 tonnellate all’anno ben poca cosa rispetto ai 15.000.000 di tonnellate emesse.
Il comunicato del giugno del 2009 si chiude con “Si tratta di verificare se questi esperimenti avranno il successo sperato e in tempi giudicati accettabili rispetto alle emergenze ambientali del pianeta.” Quindi abbiamo a che fare con sperimentazioni o con tecnologie mature?

2) Ma anche ammesso e non concesso che si riesca a catturare 2 milioni all’anno di tonnellate di CO2 dove la si mette tutta questa CO2? Basti pensare che in dieci anni occorrerà stoccare circa 20mln di tonnellate di CO2. Nelle vicinanze di Brindisi ovviamente non esistono giacimenti petroliferi esauriti.
Quindi dove? Anche in questo caso apprendiamo da un comunicato pubblicato sul sito web Enel “ENEL E ENI FIRMANO ACCORDO STRATEGICO PER LA CATTURA DELLA C02” poi prosegue “Enel costruirà un impianto di cattura e liquefazione della CO2 a Brindisi, mentre Eni inietterà la CO2 all’interno del giacimento esaurito di Stogit di Cortemaggiore (Piacenza).” Bene quindi la CO2 catturata a Brindisi finirà a Piacenza. Ma come vi arriverà? L’unico modo per poter spostare tali quantità di CO2, dopo averla pressurizzata è realizzare un gasdotto. Ma esiste un progetto per la costruzione del gasdotto? Ha tale progetto di un gasdotto che attraverserebbe tutta l’Italia ottenuto la Valutazione di Impatto Ambientale e i relativi permessi? Di questo non vi è traccia.
Inoltre trasportare milioni di tonnellate di CO2 da Brindisi a Piacenza costerà tantissimo. Un costo pesante anche per le multinazionali dell’energia.

3) Il Processo di cattura della CO2 inoltre è un processo dispendioso in termini energetici. Occorre quindi spendere parte dell’energia prodotta dalla combustione del carbone per catturare la CO2 emessa dalla combustione del carbone stesso.
In definitiva la centrale perde efficienza, di quanto? Gli studi più attendibili prevedono almeno un 10 % di perdita di efficienza. Ma qui avviene la cosa più paradossale: occorrerà aumentare l’uso del carbone per avere la stessa quantità di energia elettrica prodotta poiché parte dell’energia prodotta servirà per catturare la CO2 emessa dalla combustione del carbone.

Da queste prime e semplici considerazioni sorgono dei dubbi sulla effettiva possibilità di avere dei sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 per grandi impianti. Tant’è che un recente rapporto di Greenpeace sulle tecnologie CCS è stato così intitolato: “ Il confinamento della CO2: un’illusione”

Ing. Riccardo Rossi
ricercatore
Medicina Democratica e Salute Pubblica

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