A seguito della notizia di pochi giorni fa della sentenza del tribunale di Mantova che condanna i manager della Montedison, viene naturale fare un parallelo con Brindisi e con le morti per cancro dei lavoratori del polo petrolchimico.
Probabilmente un vero e proprio parallelo non si può fare. A Mantova, e per la prima volta in Italia, è stata dimostrata dal punto di vista giuridico, una correlazione tra l’insorgenza del tumore del sangue, come il linfoma, all’esposizione al benzene. A Brindisi invece la correlazione da dimostrare è quella tra l’insorgenza delle patologie ed il lavoro svolto presso impianti in cui si lavorava cloruro di vinile monomero (Cvm) e si produceva polivinile di cloruro (Pvc).
La sentenza del tribunale di Mantova , che per quanto abbia pronunciato una condanna, non è stata del tutto soddisfacente, come spiega Medicina Democratica, ha comunque segnato un’ulteriore progresso sulla definizione delle responsabilità di chi per anni ha inquinato ed è stato l’artefice della morte di decine di lavoratori e di cittadini inquinati, anche se il processo ne ha interessati solo alcuni.
E a Brindisi? A Brindisi dopo oltre dieci anni di denunce, indagini e udienze per le morti del petrolchimico il procedimento è stato archiviato per dichiarata impossibilità di provare la sussistenza di un nesso causa-effetto tra il lavoro svolto dalle parti «offese» e le malattie da esse contratte. E nonostatnte un ricorso in Cassazione e nonostante il caso di Vincenzo Di Totaro, operaio dello stabilimento di Brindisi dal 1962 al 1993, e deceduto per angiosarcoma epatico, patologia strettamente connessa all'esposizione professionale a Cvm e Pvc, sembra proprio che non ci siano le condizioni per continuare. Sembra proprio che non ci sia la volontà di indagare ulteriormente e più a fondo.
Daltronde se i numerosi esposti presentati per le torce, ad oggi sembrano finiti nel dimenticatoio delle cartelle della Magistratura, figuriamoci le inchieste che cercano di far luce su una delle pagine più controverse e drammatiche della storia dell’industrializzazione locale che puntano il dito sul gotha della chimica mondiale.
E la politica? La politica è assente, la politica è silente e non dà risposte.
Questa che segue è una lettera che nel 2010 una figlia di un operaio vittima del petrolchimico scrive al Presidente della Regione Nichi Vendola. Sono passati quattro anni e una risposta non è ancora arrivata e dubito che mai arriverà.
Lettera aperta a Vendola da una famiglia vittima del petrolchimico di Brindisi
Egregio Presidente della Regione Puglia -
On Nichi Vendola,
mi
chiamo Rosangela Chirico, sono nata 41 anni fa a Ceglie Messapica, dove
abito e cerco di guadagnarmi da vivere facendo l’artista. 13 anni fa
mio padre Donato è deceduto per un Cancro al fegato. Aveva lavorato per
oltre 20 anni al petrolchimico di Brindisi, dove aveva inalato il
Cloruro di Vinile Monomero (CVM).
Alla fine degli anni ‘90 la Procura
della Repubblica di Brindisi aveva aperto un’inchiesta per le morti e le
malattie di decine e decine di lavoratori come mio padre, ma nel 2004
ha deciso l’archiviazione del procedimento per le ipotesi di reato
contro le persone. Con i familiari delle vittime, riunite nel movimento
“Vittime del Petrolchimico” e con il sostegno di Medicina Democratica,
dovemmo fare diversi sit-in in piazza a Brindisi ed anche davanti al
Tribunale per ottenere che l’archiviazione, annunciata in TV circa un
anno prima, fosse notificata alle parti lese per poter fare opposizione.
Ma nonostante le evidenze scientifiche, compreso un pronunciamento
della IARC (International Agency for the Research on Cancer) che nel
2007 ha incluso gli epatocarcinomi del fegato tra i tumori provocati dal
CVM, il Giudice per le indagini Preliminari ha archiviato le accuse.
In
sede civile è in corso un procedimento di risarcimento che riguarda mio
padre, è in corso da oltre 10 anni. Di recente, dopo il deposito di una
perizia di ufficio e delle controdeduzioni, la causa è stata aggiornata
al 2012. Non pretendo di avere ragione a tutti i costi ma chiedo di
avere risposte scientificamente fondate e in tempi ragionevoli. La mia
famiglia con le altre confidava nella magistratura, almeno nei suoi
poteri di indagine grazie soltanto ai quali oggi si effettuano ricerche
epidemiologiche perché le ASL in Puglia non producono studi sugli
effetti delle esposizioni nocive né sulle popolazioni né sui lavoratori.
Due anni fa alcune Associazioni (Medicina Democratica e Salute
Pubblica) si rivolsero a Lei per ottenere che gli Enti Regionali che
hanno i dati (ASL, ARPA, Osservatorio Epidemiologico) rianalizzassero le
coorti del Petrolchimico di Manfredonia e Brindisi. La Procura della
Repubblica di Venezia lo ha fatto ed ha dimostrato che lì sono morti 80
lavoratori in più rispetto ad i loro compagni impiegati negli uffici. Un
Senatore della Repubblica, il Prof Antonio Gaglione, ha rivolto una
interrogazione al Ministro della Salute, il quale ha risposto,
evidentemente dopo essersi consultato con l’Istituto Superiore di
Sanità, detentore dei dati di quelle coorti di lavoratori, che la
ri-analisi non serve perché non si deve dimostrare nient’altro.
Il 30
aprile si apre a Bari il processo di appello per i morti e le malattie
al Petrolchimico di Manfredonia (almeno lì un processo si è fatto ed un
appello si sta facendo). Non mi risulta che la richiesta di riesaminare
le coorti dei lavoratori abbia trovato accoglienza da parte della
Regione. Eppure il Direttore dell’ARPA, professore Assennato, aveva
offerto la sua disponibilità dal momento che i dati di Brindisi sono in
suo possesso. Mi sembra di sentire già le voci di quanti considerano
queste questioni “acqua passata”. E invece credo che l’entità dei danni
non è stata neppure minimamente ricercata per una assurda volontà di
occultamento, come se oltre il danno subito ed il tributo di vite umane
pagato, si debba stare in silenzio, senza pretesa di risarcimento e
pronti ad accogliere altre stragi, quelle future e quelle in corso
(quando si studierà la coorte di Taranto?). Ma questa conoscenza non
serve solo a dare dignità alla nostra terra, ma anche a dare una
possibilità di successo alle famiglie di chi non c’è più negli
estenuanti giudizi contro l’INAIL e le proprietà degli impianti che si
dissolvono col tempo in mille passaggi societari.
Egregio Presidente,
questa storia, per quanto mi riguarda e credo per quanto riguarda tanta
gente, non sarà mai “acqua passata”, non solo perché interessa migliaia
di famiglie, ma perché riguarda la dignità di una Regione che si vuole,
nonostante tutto, “migliore”.
In attesa di un cortese e pubblico riscontro Le porgo distinti saluti.
Rosangela CHIRICO
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