(immagine di repertorio) |
Nel febbraio del 2014 venivamo invitati ufficialmente da una scuola
media a partecipare alla proiezione di un film-documentario che parlava
di ambiente e delle ricadute dell’ inquinamento sul territorio. Successivamente ne scaturiva un piacevole dibattito con gli alunni, gli insegnanti e la stessa preside.
Quella che appariva essere una giornata tranquilla per la stragrande maggioranza dei presenti, alla fine si tramutava, a seguito della visione del filmato, nel peggior incubo (a detta di uno dei genitori di uno dei presenti) per uno degli studenti. Il padre, spaventato dalle domande e dal racconto del figlio, pensava così di rivolgersi al sindacato di una delle aziende coinvolte nel film documentario, nello specifico Edipower.
Lo stesso sindacato, per mezzo di una lettera indirizzata a più soggetti, rappresentava il presunto accaduto chiedendo lumi all'istituto sopracitato, ma nel contenuto della missiva, successivamente inviata anche ad una testata giornalistica on-line, veniva mistificata la realtà a danno del movimento No Al Carbone, reo di aver "divulgato disinformazione" , di aver usato "forme di violenza verbale nei confronti degli alunni”, di essere un “movimento settario ed integralista” e, cosa ancor più grave, di aver agito perché "politicamente rappresentato" in consiglio comunale e quindi per scopi prettamente elettorali.
Preso atto del comunicato della RSU, si decideva, così, di interrompere questo "patto non scritto" dove l'operaio è sacro e non va toccato e "l'ambientalista o chi si preoccupa della salute dei cittadini tutti" è il solito ben pensante con la pancia piena.
Sono anni che siamo in strada, che ci misuriamo con tutti, che usiamo ogni forma di comunicazione, il tutto sempre nel rispetto delle regole, ma soprattutto del pensiero altrui. Talvolta ci sono stati confronti aspri con gli stessi operai, ma non si poteva soprassedere ancora una volta: se è sacro il posto di lavoro è altrettanto sacro il diritto alla vita ed alla salute!
Si decideva, così, di chiedere alla Magistratura, attraverso una formale denuncia-querela, di valutare la sussistenza di quei presupposti costituenti il reato di "diffamazione"; tanto veniva valutato positivamente dal P.M. della Procura di Brindisi.
Arrivato, così, il giorno del processo, della prima udienza, il momento in cui avremmo visto il volto di questa gente che ci accusava di essere dei mostri, ci troviamo di fronte dei padri di famiglia, come possono essere i nostri, gente comune che non dovrebbe stare da quella parte della barricata, ma al contrario dovrebbe stare da questa parte a difendere il diritto al lavoro, alla salute e ad un ambiente sano.
Quel giorno eravamo presenti in tanti. Ci è voluto poco a guardarci in faccia e decidere di fare un tentativo, tanto nobile quanto impavido, chiedendo al nostro avvocato di rappresentare ai difensori degli imputati la nostra volontà di voler rimettere la querela se solo ci fossero state delle scuse formali; in fin dei conti non era nostra intenzione colpire il singolo operaio, ma il modus operandi degli stessi contro chi non condivide le loro ragioni.
Il tentativo falliva miseramente ed il processo iniziava con la costituzione delle parti e le richieste istruttorie.
Dopo una prima udienza ad ottobre 2015, sentiti il Presidente dei No Al Carbone ed un membro presente all’episodio contestato, il processo veniva aggiornato al 4 febbraio 2016.
In questa data veniva dapprima ascoltato un teste della difesa (il papà, operaio Edipower, del piccolo che si era spaventato alla visione del documentario), e successivamente uno degli imputati decideva di rendere spontanee dichiarazioni, così come consentito dalla legge.
Giunta la fase delle discussioni delle parti il P.M., con stupore dei presenti, chiedeva l'assoluzione per gli imputati. Il nostro avvocato sviscerava quanto emerso sino ad allora e chiedeva, invece, la condanna degli imputati ed il contestuale risarcimento dei danni morali subiti, anticipando che gli stessi sarebbero stati, se riconosciuti, devoluti in beneficienza. Le difese, dopo una lunga discussione, si associavano alle richieste del Pubblico Ministero.
Suona la campanella , ore 17.05 del 04 febbraio del 2016, il giudice si pronuncia emettendo il dispositivo della sentenza: gli imputati vengono condannati per il reato loro ascritto oltre al risarcimento del danno in favore del Comitato No Al Carbone da quantificare in separata sede.
Basta uno sguardo tra noi ed il nostro avvocato. Quest’ultimo si avvicina ad uno degli imputati presenti ed al suo difensore anticipando che il Movimento No Al Carbone voleva rappresentare la volontà di non voler procedere in sede civile, rinunciando così al risarcimento del danno ordinato dal Giudice.
Non sono gli operai i nostri nemici, ma chi si ostina a vedere in questo modello di sviluppo industriale, vecchio e oramai in fase terminale, l'unica via da percorrere tanto oggi quanto domani.
È una questione di principio e di giustizia sociale, non di soldi !
Quella che appariva essere una giornata tranquilla per la stragrande maggioranza dei presenti, alla fine si tramutava, a seguito della visione del filmato, nel peggior incubo (a detta di uno dei genitori di uno dei presenti) per uno degli studenti. Il padre, spaventato dalle domande e dal racconto del figlio, pensava così di rivolgersi al sindacato di una delle aziende coinvolte nel film documentario, nello specifico Edipower.
Lo stesso sindacato, per mezzo di una lettera indirizzata a più soggetti, rappresentava il presunto accaduto chiedendo lumi all'istituto sopracitato, ma nel contenuto della missiva, successivamente inviata anche ad una testata giornalistica on-line, veniva mistificata la realtà a danno del movimento No Al Carbone, reo di aver "divulgato disinformazione" , di aver usato "forme di violenza verbale nei confronti degli alunni”, di essere un “movimento settario ed integralista” e, cosa ancor più grave, di aver agito perché "politicamente rappresentato" in consiglio comunale e quindi per scopi prettamente elettorali.
Preso atto del comunicato della RSU, si decideva, così, di interrompere questo "patto non scritto" dove l'operaio è sacro e non va toccato e "l'ambientalista o chi si preoccupa della salute dei cittadini tutti" è il solito ben pensante con la pancia piena.
Sono anni che siamo in strada, che ci misuriamo con tutti, che usiamo ogni forma di comunicazione, il tutto sempre nel rispetto delle regole, ma soprattutto del pensiero altrui. Talvolta ci sono stati confronti aspri con gli stessi operai, ma non si poteva soprassedere ancora una volta: se è sacro il posto di lavoro è altrettanto sacro il diritto alla vita ed alla salute!
Si decideva, così, di chiedere alla Magistratura, attraverso una formale denuncia-querela, di valutare la sussistenza di quei presupposti costituenti il reato di "diffamazione"; tanto veniva valutato positivamente dal P.M. della Procura di Brindisi.
Arrivato, così, il giorno del processo, della prima udienza, il momento in cui avremmo visto il volto di questa gente che ci accusava di essere dei mostri, ci troviamo di fronte dei padri di famiglia, come possono essere i nostri, gente comune che non dovrebbe stare da quella parte della barricata, ma al contrario dovrebbe stare da questa parte a difendere il diritto al lavoro, alla salute e ad un ambiente sano.
Quel giorno eravamo presenti in tanti. Ci è voluto poco a guardarci in faccia e decidere di fare un tentativo, tanto nobile quanto impavido, chiedendo al nostro avvocato di rappresentare ai difensori degli imputati la nostra volontà di voler rimettere la querela se solo ci fossero state delle scuse formali; in fin dei conti non era nostra intenzione colpire il singolo operaio, ma il modus operandi degli stessi contro chi non condivide le loro ragioni.
Il tentativo falliva miseramente ed il processo iniziava con la costituzione delle parti e le richieste istruttorie.
Dopo una prima udienza ad ottobre 2015, sentiti il Presidente dei No Al Carbone ed un membro presente all’episodio contestato, il processo veniva aggiornato al 4 febbraio 2016.
In questa data veniva dapprima ascoltato un teste della difesa (il papà, operaio Edipower, del piccolo che si era spaventato alla visione del documentario), e successivamente uno degli imputati decideva di rendere spontanee dichiarazioni, così come consentito dalla legge.
Giunta la fase delle discussioni delle parti il P.M., con stupore dei presenti, chiedeva l'assoluzione per gli imputati. Il nostro avvocato sviscerava quanto emerso sino ad allora e chiedeva, invece, la condanna degli imputati ed il contestuale risarcimento dei danni morali subiti, anticipando che gli stessi sarebbero stati, se riconosciuti, devoluti in beneficienza. Le difese, dopo una lunga discussione, si associavano alle richieste del Pubblico Ministero.
Suona la campanella , ore 17.05 del 04 febbraio del 2016, il giudice si pronuncia emettendo il dispositivo della sentenza: gli imputati vengono condannati per il reato loro ascritto oltre al risarcimento del danno in favore del Comitato No Al Carbone da quantificare in separata sede.
Basta uno sguardo tra noi ed il nostro avvocato. Quest’ultimo si avvicina ad uno degli imputati presenti ed al suo difensore anticipando che il Movimento No Al Carbone voleva rappresentare la volontà di non voler procedere in sede civile, rinunciando così al risarcimento del danno ordinato dal Giudice.
Non sono gli operai i nostri nemici, ma chi si ostina a vedere in questo modello di sviluppo industriale, vecchio e oramai in fase terminale, l'unica via da percorrere tanto oggi quanto domani.
È una questione di principio e di giustizia sociale, non di soldi !
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