Fonte: piergiorgio cattani - unimondo.org
Alcuni mostri si aggirano per l’Europa. Più che muoversi stanno fermi
ma la loro presenza si percepisce anche a centinaia di kilometri di
distanza. Stiamo parlando delle centrali termoelettriche a carbone.
Belchatow, Polonia |
Eppure l’Europa si era data obiettivi ambiziosi sulla riduzione del
20% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020. Traguardo arduo
da raggiungere. Anche perché la “disunione europea” non si manifesta
soltanto nel persistere di interessi nazionali, come dimostra il modo in
cui si sta affrontando la crisi dei debiti sovrani, ma anche nella
pressoché totale assenza di una politica energetica comune. Al di
là della retorica infatti c’è chi spinge per un rapporto univoco e
diretto con la Russia (vedi la Germania), chi sogna l’autosufficienza
puntando sulla nuova futuribile tecnologia di fusione dell’idrogeno
(vedi Francia), chi non sa che pesci pigliare e raccatta tutto il gas a
disposizione (vedi Italia) e chi mantiene un obsoleto settore di
produzione di energia non curandosi dell’impatto ambientale (vedi i
paesi dell’ex blocco comunista con l’eccezione della Lettonia).
I costi di questa mancata strategia continentale, oltre che economici e strategici, riguardano la salute nostra e del pianeta. Le cifre fornite dall’Agenzia europea per l’ambiente sono incontrovertibili.
Come riporta il quotidiano La Stampa: “Le emissioni di agenti
inquinanti nel 2009 pesavano tra i 102 e i 169 miliardi l’anno, ovvero
dai 200 ai 330 euro a persona. Quel che colpisce di più è che ben il 50
per cento dei costi aggiuntivi (tra 51 e 85 miliardi) sono generati da
soltanto 191 impianti. è il 2% del totale di quelli censiti, quelli più
«sporchi» in assoluto. Il 75% del totale delle emissioni è prodotto da
soli 622 siti industriali.
Cerano, Brindisi |
Il mostro polacco è quello più pericoloso. La storia di Belchatow
comincia negli anni ‘70: occorreva sfruttare le miniere di carbone
limitrofe, ed ecco una centrale a lignite, una delle forme più
elementari e grezze (quindi più inquinanti) del carbone. Persino una
brochure auto celebrativa della centrale, ora di proprietà dell’azienda
polacca PGE e della multinazionale francese Alstom, descrive la
situazione fino agli anni ‘90: “Il progetto originario non aveva
previsto nessuna misura per limitare le emissioni di ossidi di zolfo
perché a quel tempo le tecnologie di desolforizzazione dei gas erano
praticamente sconosciute o soltanto in una fase di sviluppo”. Le
migliorie apportate successivamente non migliorarono l’impatto
inquinante delle 12 unità che compongono la centrale, se pensiamo che
nel 2008 sono state emesse 31 milioni di tonnellate di CO2 per
una produzione di energia di 28 TWh (il 20% dell’intero fabbisogno del
paese). Si è così progettato un piano generale di ammodernamento. Così
descriveva la situazione nel 2009 Greenreport: “Il responsabile della
centrale di Belchatow, Jacek Kaczorowski, non si scompone più di tanto e
in una intervista alla Reuters ha detto che «Le nostre emissioni nei
prossimi anni, nel periodo contabile 2008-2012, resteranno a livelli
simili. Così, in breve, alla fine di tutto il periodo, ci vorranno circa
14 - 20 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2».
Per rientrare nei limiti europei con l’ampliamento la centrale pensa
di risolvere la cosa ricorrendo allo stoccaggio sotterraneo delle
emissioni di CO2. Quindi la Polonia non intende rinunciare alle sue
super-inquinanti centrali a carbone, ma chiede all’Unione europea di
finanziare la ricerca e la tecnologia per la Carbon caputre storage
(Ccs) per poter “imprigionare” un terzo dei gas serra prodotti dal nuovo
blocco produttivo.
«Ma anche se non avremo i soldi dell’Unione europea, dovremo andare
avanti con il progetto a causa della necessità di ridurre le emissioni -
ammette Kaczorowski. Dobbiamo andare verso lo sviluppo delle tecnologie
Ccs per rimanere competitivi»“.
Belchatow non lascia ma raddoppia costruendo un’altra unità da più di
800 MW, sulla carta molto meno inquinante del complesso della centrale,
e chiudendo i camini più vecchi. Il progetto viene portato a termine
nei tempi prestabiliti e proprio in questi giorni vengono
inaugurate le strutture. L’obiettivo di diminuire le emissioni è però
ancora lontano. Mancano soldi e soprattutto volontà politica. Il carbone
resta una materia prima a basso costo e in Europa si sta pensando a
nuove centrali. Una strada che contraddice ogni istanza ambientale.
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