(fonte:http://salutepubblica.net/mediterraneo/135-ilva-di-taranto-le-tappe-e-le-toppe.html)
L’analisi della vicenda dell’Ilva di Taranto, per la sua complessità,
deve essere trattata facendo riferimento a fatti e dati scientifici.
I fatti.
Il 26 luglio del 2012, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP)
della Procura di Taranto preso atto della grave situazione sanitaria e
ambientale, per tutelare la vita e la salute umana, beni che non “ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta”,
impone il sequestro preventivo e senza facoltà d’uso dell’area a caldo.
L’accusa che viene mossa ad Emilio Riva, al figlio Nicola e ai vertici
dell’Ilva è di disastro ambientale doloso, rimozione o omissione dolosa
di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di acqua e
sostanze alimentari.
Secondo il GIP Ilva ha inquinato con coscienza e volontà per “la
logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”.
La decisione del giudice scaturisce da un percorso giudiziario
assolutamente garantista per l’azienda: l’incidente probatorio,
praticamente un pezzo di dibattimento anticipato alla fase delle
indagini preliminari. Un luogo in cui esperti, epidemiologi e chimici,
indicati dal giudice si sono potuti confrontare con i periti delle parti
in causa, fra questi l’Ilva e gli allevatori. Sì: i pastori. Uomini e
donne due volte vittime dell’industria: come persone che a seconda di
come tira il vento respirano gli inquinanti di quella fabbrica e come
proprietari di greggi che, contaminati da diossina, finiscono per essere
abbattute.
I dati.
In due lunghe ed elaborate perizie i consulenti del giudice,
scienziati con competenze di livello internazionale, dipingono con
figure e tabelle un quadro arcinoto all’uomo e alla donna della strada,
un quadro di vittime e di carnefici.
Le vittime sono le persone, 386 in 13 anni di osservazione, che muoiono per l’inquinamento industriale.
Le vittime sono le persone, 237, che si ricoverano per tumore maligno
o le 937 che si ricoverano per malattie respiratorie causate
dall’inquinamento.
Le vittime sono le bambine e i bambini, 17 secondo i periti, che si
ricoverano a causa di una diagnosi di tumore maligno e le bambine e i
bambini, oltre 600, che si ricoverano per infezioni delle vie
respiratorie.
E le vittime sono anche i pastori e i 2271 capi di bestiame abbattuti
perché contaminati da diossina che, sostengono i chimici, è “riconducibile alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento ILVA di Taranto”. Giudizio che è basato sull’analisi dei “profili dei congeneri “fingerprints” dei contaminanti”: le impronte digitali delle sostanze emesse dall’Ilva sono le stesse delle rinvenute nei tessuti degli animali.
Non è un mistero per alcuno e gli scienziati lo riportano in perizia
che dallo stabilimento ILVA si diffondono sostanze pericolose per la
salute dei lavoratori e per la popolazione di Taranto e dintorni.
L’Ilva, ovviamente, nega la paternità del degrado ambientale sanitario e il 20 novembre chiede il dissequestro degli impianti.
Il 26 novembre, la procura sequestra l’intera produzione, giacché è “profitto di reato”, ossia un profitto che è maturato nonostante il divieto di produrre.
Il 26 novembre è anche il giorno della formalizzazione dei risultati dell’indagine “ambiente venduto”
che ha portato all’arresto di dirigenti Ilva, funzionari pubblici e
politici. In questo caso, le accuse sono di costituzione di associazione
a delinquere, disastro ambientale aggravato, omissione dolosa di
cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque e
sostanze alimentari, concussione e corruzione in atti giudiziari.
Ci sono anche indagati illustri tra cui il sindaco Stefàno, indagato
per omissioni in atti d'ufficio in relazione alle prescrizioni a tutela
dell'ambiente cittadino.
Nelle ordinanze si parla inoltre di misure urgenti che il Presidente
della Regione non avrebbe imposto all'azienda, di tentativi politici di
frenare le autorità preposte ai controlli anche attraverso la minaccia
di non rinnovare incarichi direzionali.
Queste in sintesi le tappe della vicenda giudiziaria. Un capitolo a
parte meritano le azioni delle istituzioni democratiche: gli atti di
intesa sottoscritti negli anni da regione provincia comuni ARPA e
sindacati, atti definiti come “la più grossolana presa in giro compiuta
dai vertici Ilva”.
Un quadro che non può che definirsi sconfortante se si pensa anche
all’intercettazioni in cui l’avvocato Perli riferisce di una discussione
con membri della commissione che hanno rilasciato l’Autorizzazione
Integrata Ambientale del 2011, una discussione in cui l’avv. Perli
afferma che l’AIA “ve l’abbiamo scritta noi. Vi tocca soltanto di
leggere le carte, metterle in fila e gestire un po’ il rapporto con gli
enti locali”. Enti, quali la regione la provincia e il comune, che quell’AIA avevano poi sottoscritto.
La volontà del Governo di superare il blocco imposto dalla
Magistratura con un decreto legge, anche con un atto legislativo (e con
“gli avvertimenti” alla magistratura, a latere di quest’ultimo,
dell’ineffabile ministro Clini) che calpesta i più elementari principi
della separazione dei poteri e, dunque, dello Stato di diritto, mostra
chiaramente che non il lavoro é più importante della salute bensì il
profitto.
Un decreto nel quale la sostanza di un’invasione di campo,
Costituzionalmente intollerabile, dell’Esecutivo in un ambito
evidentemente di competenza dell’Autorità Giudiziaria, ma soprattutto di
una vera e propria autorizzazione ad inquinare, e quindi, per quanto
sopra esposto, di uccidere, non resta minimamente occultata dalla
cortina fumogena della “confisca”, che, se non stessimo parlando di una
materia nella quale ci sono centinaia di vittime innocenti, a partire
dai bambini, sarebbe in grado di suscitare irrefrenabili risate, sol che
si pensi che, mentre si agita il macchiettistico spettro
dell’esproprio, si toglie lo stabilimento di Taranto dalle mani dei
custodi giudiziari nominati dalla magistratura e lo si restituisce
pienamente, per legge, alla famiglia Riva.
Con la perla, estetica prima che etica, per cui, tra le ragioni per le quali “la società ILVA S.p.A. di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata, [….] alla prosecuzione dell'attività produttiva”, vi è
“la nota dell’Ilva S.p.A. del 6 novembre 2012 n. Dir. 207/12 con la
quale la predetta società dichiara la propria disponibilità a dare
applicazione alle disposizioni contenute nella precitata
l’Autorizzazione Integrata Ambientale”.
D’altronde, come non prendere sul serio da parte di un Governo
tecnico una dichiarazione di disponibilità del genere che proviene da
una Società per il cui amministratore delegato “due tumori in più sono una minchiata”?
É sin troppo evidente che neppure il disastro ambientale e sanitario
consentito al siderurgico di Taranto in questi anni dagli enti
autorizzatori, sembra in grado di suscitare le domande più ovvie:
conviene ancora produrre acciaio? Produrlo così? Che cosa produrre in
alternativa? Si può produrre di meno a scapito del profitto senza
intaccare il reddito del lavoro?
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